Family Business Coaching, come costruire un modello made in Italy

Harvard Business Review ha pubblicato, nel numero di Marzo, l’interessante articolo sul Family Business Coaching di Pietro Varvello, che gentilmente ci ha concesso di proporlo ai nostri lettori

family business coaching

Quando ci rivolgiamo ai Family Business e più in generale a quei delicati ecosistemi rappresentati dalle aziende familiari, il vincolo parentale è l’elemento critico, quello che molte volte sovrasta ogni considerazione legata al business, all’impresa e alle sue dinamiche gestionali. Chi ha avuto contatti con queste realtà sa che i rapporti/conflitti familiari rappresentano uno dei temi critici ricorrenti e che queste dinamiche sono generate prevalentemente dai diversi valori, dalle caratteristiche personali/caratteriali dei singoli membri, dal loro ruolo e dalle loro aspettative (che cambiano nel tempo) e solo in misura residuale dai problemi e dalle difficoltà reali dell’azienda. Il Professor Randel Carlock, che collabora con Insead su questi temi, nel suo intervento alla Family Business National Association del 2013 concluse con una frase che divenne famosa: Family businesses fail not because of the business, but because of the family.”

Conviene subito precisare che non esiste un’unica ricetta “per fare consulenza all’azienda familiare” perché ogni singolo caso è la combinazione di una casistica pressochè infinità di imprese, tra loro differenti per dimensioni, settori merceologici, ecc. che si incrociano con una tipologia pressochè infinita di famiglie tra loro differenti per storia, valori, contesto sociale-locale, ecc. Uno dei pochi elementi di “certezza” è che non esiste una situazione uguale ad un’altra.

A rendere ancora più complesso questo “sistema di combinazioni”, contribuisce il concetto di impresa familiare, composto da due termini con significati che generano forze tendenzialmente divergenti e quindi potenzialmente in conflitto. Infatti l’impresa è un organismo aperto verso l’esterno: pensiamo al rapporto con i dipendenti, con il mercato, con i clienti, con i fornitori, ecc. La famiglia, al contrario è un insieme tendenzialmente chiuso e autoreferenziale per la sua storia e i suoi valori caratterizzato da relazioni che tendono ad assumere movimenti circolari e ripetitivi (e non lineari-rettilinei come nell’impresa). I momenti di discontinuità/rottura si generano quasi sempre con l’ingresso di nuovi componenti (in genere dopo i matrimoni…), cioè con l’arrivo di altri valori, non sempre coincidenti con quelli ormai consolidati e comunque acquisiti.

Le imprese familiari presentano poi diversi gradi di familiarità (“familiness”): numerosi studi, soprattutto americani, hanno cercato di misurare questo valore, quantificando l’influenza di variabili come il potere, la cultura, la leadership-influenza della famiglia(che varia poi, se viene esercitata dal fondatore oppure dalle generazioni successive), il ruolo/coinvolgimento del management, la governance aziendale, la politica delle deleghe, il sistema premiante basato sul merito o sulla fedeltà, ecc.

Altro elemento che può generare instabilità, sono gli obiettivi che ciascuna delle due entità, l’impresa e la famiglia, tendono a perseguire: la prima nasce per generare profitti e creare ricchezza, massimizzare i ricavi, riducendo i costi e ricercando sempre l’efficienza. La famiglia, non sempre ha obiettivi coincidenti: in alcuni casi tende a privilegiare l’appartenenza e la fedeltà al “clan” rispetto alla professionalità, l’immagine locale alla redditività, l’ambizione e il prestigio personale all’efficienza. Osservando molte situazioni viene spontaneo chiedersi quale sia l’obiettivo ultimo del coaching all’interno delle imprese familiari, cioè se occorre privilegiare l’impresa o la famiglia? La risposta è molto semplice e apparentemente banale: aumentare la redditività del business all’interno dei valori della famiglia.

“Il Coaching è un approccio abbastanza diffuso anche in Italia, anche se non viene codificato con questo termine, precisa Guido Corbetta titolare della cattedra Strategia delle Imprese Familiari AIdAF-EY alla Bocconi. Molti professionisti che entrano in aziende familiari per risolvere problemi gestionali specifici, si trovano poi ad applicare le tecniche del coaching per raggiungere i loro obiettivi”

Grazie al suo approccio sistemico, il coaching ha sviluppato modelli prevalentemente empirici che hanno dato buoni risultati nel gestire situazioni di discontinuità e crisi all’interno di queste realtà. Abbiamo modelli che coprono un ampio arco di interventi: da un lato quelli rivolti prevalentemente alla famiglia (Family Coaching), volti alla crescita dei singoli membri anche con supporti psicologici, per far loro comprendere i diritti in capo al familiare-azionista rispetto a quelli del familiare-azionista-gestore, insegnando loro la gestione del ruolo rispetto alla loro condizione, ecc. Dall’altro lato c’è il Business Coachingche ha un taglio aziendalistico e ha come oggetto la soluzione dei problemi dell’impresa. In mezzo a questi due estremi ci sono tante situazioni che vanno gestite con grande sensibilità ed esperienza.

Pensiamo ad esempio ad un consulente-coach chiamato per facilitare la successionedovendo lavorare solo sulle nuove generazioni. Quale è l’obiettivo finale della sua attività? Facilitare il solo ricambio generazionale, supportando la professionalità del membro della famiglia, oppure suggerire anche la crescita o l’ingresso di un esterno oppure, ancora, intervenire sull’organizzazione aziendale-governance dell’impresa? Occorre decidere di volta in volta, mediando tra le esigenze dell’azienda e il mantenimento dell’equilibrio familiare. Nelle successioni e nei ricambi generazionali tranquilli, dove tutti gli attori sono all’altezza del loro ruolo e hanno dato la loro adesione a questo passaggio (da programmare per tempo e nel tempo), il coaching ha sempre avuto successo e la sua attività ha facilitato e lubrificato i processi, ottimizzandoli nelle modalità e nei tempi. Quando invece la situazione si presenta critica, o perché l’azienda non sta andando bene o perché la conflittualità tra padre e figlio ha raggiunto rotture insanabili o perché le regole della successione non sono state condivise con gli altri membri della famiglia, allora anche i coach più esperienziati si trovano ad affrontare situazioni difficili e insidiose.

Il percorso del coaching

Avviare un percorso di coaching in un’impresa familiare vuol dire iniziare con una serie di domande- base: quale è l’obiettivo reale?  quale è il contesto familiare e il grado di influenza sull’impresa? dove risiede il problema e le relative criticità? Poter disporre di risposte chiare a queste domande non è sempre facile perché esistono più verità, più risposte, più soluzioni. Più la situazione è complicata e più occorre avere pazienza e cominciare a coinvolgere, individualmente, ciascun membro della famiglia, sia che operi in azienda, sia che abbia influenza sull’impresa. Molti studi americani hanno sintetizzato, in un modo troppo semplicistico, che l’approccio potrebbe essere due terzi di executive coaching e un terzo di family coaching. Non siamo d’accordo con questo rapporto, sia perché ciascuna “ricetta” va costruita di volta in volta sulle caratteristiche specifiche dell’impresa, della famiglia e dei suoi obiettivi, sia perché la nostra esperienza italiana (soprattutto di coaching durante i passaggi generazionali) ribalta questa proporzione a favore del family coaching. Lo conferma anche Guido Corbetta, sottolineando come l’approccio aziendalistico non deve essere mai troppo “accademico” e sovrastare la cultura della famiglia.

Il coach, con il suo bagaglio di professionalità, esperienze e valori, ha un ruolo chiave paragonabile a quello del mediatore in una negoziazione tra più soggetti grazie alla sua capacità di estraniarsi dalle relazioni familiari e vedere con maggiore lucidità e con obiettività la situazione e le priorità dei problemi.

L’approccio di sapere di non sapere e quindi la necessità di porre domande potentidà al coach un vantaggio rispetto ai consulenti “interni” all’azienda (il commercialista, il legale, ecc., vedi box) che si pongono in una posizione di mentori anche in situazioni diverse dalla loro area professionale.

Le principali variabili che condizionano il percorso sono:

  • il tempo a disposizione;
  • la situazione attuale e prospettica dell’azienda;
  • la situazione attuale e prospettica della famiglia;
  • il ruolo dei membri della famiglia nella società, nella sua gestione, il ruolo dei dipendenti-esterni,.la governance societaria, ecc.

All’interno di questo sistema di variabili, il coach, come elemento “esterno” alla famiglia e all’organizzazione, può operare come un esploratore presso una tribù sconosciuta, all’interno della quale può muoversi (abbastanza) liberamente e al quale vengono riconosciuti spazi non concessi agli “indigeni”. Può porre domande scomode ma potenti che gli consentono di scoprire quegli iceberg (che ad esempio non appaiono evidenti ad un consulente aziendale) e costruire quel rapporto di fiducia, indispensabile per procedere. Parlare con tutti i membri della famiglia, tutti e non solo quelli coinvolti nella gestione, capire i loro valori, raccogliere le diverse posizioni, definire i diversi obiettivi, ampliare la cerchia anche alle prime linee manageriali, sono le attività preliminari nel processo di coaching in un’azienda familiare. E’ questa la fase più lunga, faticosa e stressante, durante la quale il coach deve cercare di far “cambiare il punto di vista” ai membri della famiglia, lavorare più sulla parte emozionale rispetto a quella razionale, in modo da smuoverli dalle posizioni consolidate (i preconcetti), far loro osservare in modo nuovo la realtà aziendale e familiare e aiutarli a ricercare il loro “benessere” attraverso nuovi equilibri, nuove alleanze, ecc. Come molti studi hanno sottolineato, il coach deve iniziare dal membro con più potere e con la maggiore motivazione a rivedere questi nuovi equilibri, aiutandolo a trovare nuove soluzioni familiari agendo sui “who, what, when, where and how” anziché il più semplicistico (ed individualistico) “why”.

Il Modello Made in Italy

Oltre ai requisiti professionali dell’executive coaching (per semplicità ci riferiamo a quelli di ICF, l’International Coach Federation), occorre dunque aver maturato esperienze nel family coaching, conoscere le realtà delle imprese familiari italiane (alcune volte regionali) e soprattutto avere sensibilità psicologiche ed emozionali.

La nostra esperienza evidenzia che oltre ai requisiti professionali (che diamo per scontati), il coach non solo deve “capire” l’impresa familiare in cui sta lavorando, ma deve anche sentirsi “allineato” (se non addirittura condividere) i valori e la cultura della famiglia stessa. Questo è un passaggio fondamentale, che diventa un ostacolo per tanti manager, cresciuti nelle aziende di grandi dimensioni e multinazionali, nel lavorare con efficacia all’interno di molte imprese familiari italiane.

Step 1. Il processo di coaching parte dunque da un incarico affidato dall’imprenditore o dalla famiglia stessa che si trovano ad affrontare un problema nuovo (ad esempio la pianificazione di un ricambio generazionale).  Il consulente come prima attività deve approfondire i valori e la cultura della famiglia, elementi che vanno analizzati con grande attenzione soprattutto quando non c’è una leadership forte e chiara e alcuni membri sono portatori di valori diversi (fase di analisi). Chi ha in mano la leadership della famiglia? è la stessa persona che ha la leadership dell’azienda? esistono differenze? come possiamo descrivere l’uno e l’altro? quali sono le differenze e i punti di forza di ciascuna posizione? chi sono gli altri membri della famiglia? che ruolo gioca ciascuno di essi? cosa è importante per ciascuno di loro? come vengono percepiti dagli altri? e così via…

Step 2. Alla fine di questa analisi, il coach comincia a lavorare coinvolgendo tutti i membri della famiglia, in modo da verificare che condividano l’obiettivo (fase di engagement). Inizia a questo punto la fase più difficile e critica, quella che coinvolge i membri nei loro differenti ruoli, azionisti puri e azionisti gestori: questa fase, in cui sono richieste competenze non solo professionali ma anche politiche, consente di concordare con ciascuno di essi un’unicità di obiettivi (o comunque una chiarezza di intenti) che è fondamentale per il prosieguo dell’attività e il successo finale.

Avendo imparato a conoscere i valori e la cultura della famiglia, il coach saprà comunicare con ciascun membro in modo efficace l’esigenza di vedere il/i problemi in un’ottica sistemica, e cioè da punti di vista differenti (nessuno deve risultare carnefice, nessuno vittima).

Step 3. Dopo gli incontri individuali, in cui si restituisce il risultato degli incontri, si organizzerà una riunione collettiva per condividere l’obiettivo, presentare il piano di azione e raccogliere i commenti sulla sua attuazione (fase di planning).

Questi step vanno affrontati con grande pazienza e calma, senza dare l’impressione che il tempo sia poco e che occorra “fare fretta”: mai come in questo processo il coach deve operare come un grande regista e fare in modo che le cose necessarie e strumentali all’obiettivo accadano grazie ai contributi dei singoli membri.

Quando si raggiunge questo punto si può dire che… il più è fatto e vale la pena di scrivere i punti che hanno portato a questo risultato, formalizzando il consenso ottenuto in regole e politiche che costituiscono il percorso da implementare (fase di acting).

L’attività del coach può dirsi conclusa quando ha risolto un problema specifico (passaggio generazionale, riorganizzazione aziendale, fatto crescere professionalmente uno o più membri o facilitato il loro ingresso in azienda, ecc.), ma anche quando ha impostato e formalizzato un nuovo modello di funzionamento seguendo il quale la famiglia può proseguire autonomamente la gestione ordinaria e straordinaria dell
’impresa. Importante, per la stabilità del modello nel tempo, è aver identificata una nuova leadership condivisa. che terrà aperte le linee di comunicazione con ciascun componente della famiglia stessa.
Il nostro delicato ecosistema di impresa familiare ritorna ad essere in equilibrio, con un nuovo bilanciamento di poteri/ruoli, accettato da tutti i membri perché ciascuno di loro ne trae un beneficio e possiamo concludere che fino a quando si terrà in vita questo equilibrio, l’azienda potrà essere gestita con una certa serenità.

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