Morire di lavoro: con il drone cacciatore non succederà più?

In Giappone dall’aprile prossimo entrerà in azione T-Friend, un drone concepito per scovare e indurre le persone a lasciare il posto di lavoro. Le morti per eccesso di lavoro sono per questo paese un problema crescente cui è stato necessario tentare un rimedio tecnologico

Drone utilizzato per la sicurezza sul lavoro

Il fenomeno dell’eccesso di lavoro per cui si possa morire di lavoro può suonare paradossale. In un paese come il nostro, dove spesso si sente parlare di fannulloni, che ci siano persone che rischiano la vita per l’esatto contrario non sembra plausibile.

Certo, noi siamo spesso vittime di luoghi comuni che finiscono per assoggettare sotto un unico cappello appartenenti a categorie lavorative che dimostrano per il lavoro ben altri atteggiamenti.

Alle nostre latitudini si parla di stress lavoro correlato per cui è previsto anche un monitoraggio e azioni correttive, ma tra queste nessuno probabilmente ha mai pensato di inserire i droni.

 

L’amico drone per non morire di lavoro

In Giappone dall’aprile prossimo entrerà in azione T-Friend, un drone concepito per scovare e indurre le persone a lasciare il posto di lavoro.

Le morti per eccesso di lavoro sono per questo paese un problema crescente cui è stato necessario tentare un rimedio tecnologico, anche  per la mancanza di personale da impiegare in tale servizio:l’andamento demografico del paese con un tasso pari al 27,3% di persone che superano i 65 anni, sta creando in fatti una mancanza di personale

Uno scenario inquietante per un’epoca in cui l’introduzione della tecnologia nei luoghi di lavoro pone interrogativi sul pericolo della progressiva sostituzione dell’uomo in numerose mansioni.

Che sia una macchina a “cacciare” le persone evoca scenari da “The prisoner”. Nel  caso del telefilm, interveniva un’enorme palla bianca ad impedire che le persone tentassero di allontanarsi dall’isola in cui erano segregati.

 

Segregati al lavoro, segregati in casa

Una situazione completamente diversa, si potrebbe obiettare, ma ciò che la collega al tema è il concetto di segregazione.

La domanda che infatti suscita la vicenda giapponese è se il fenomeno dei fanatici del lavoro giapponesi sia legata ad una vita, al di fuori del luogo di lavoro, inesistente, quindi una sorta di prigionia esistenziale da cui tentare una fuga sebbene a volte, mortale.

Una volta usciti forzatamente dall’ufficio cosa  attende i lavoratori giapponesi,  in una società che ha dato il nome ad un  fenomeno di autoreclusione come gli hokikomori, i giovani che si isolano nelle proprie camere dove si svolge tutta la loro esistenza per svariati anni e rifiutano di essere aiutati.

L’ossessione per il lavoro, l’autereclusione di certo non si risolvono con un drone: la qualità della vita, delle relazioni sono fortemente messe in discussione e l’isolamento si può immaginare ancora più esasperato da questa macchina svolazzante che, con il suo ronzio e una musichetta appositamente studiata, si avvicina alla postazione di lavoro e costringe ad andarsene.

 

Scenari che ci riguardano?

Sebbene non si possano fare dei paragoni con la nostra nazione è utile guardare a questo scenario per ragionare sul senso del lavoro in relazione con la vita, sul timore verso la tecnologia e la qualità delle relazioni umane.  Anche il nostro è un paese  che sta invecchiando, anche da noi il fenomeno degli hokikomori si sta facendo preoccupante. Non arriveremo probabilmente ad invitare le persone ad uscire dall’ufficio servendoci di una macchina, ma è certo che se non preserveremo il calore del contatto umano, la capacità di andare oltre la remissione dei sintomi, per cogliere  invece la soluzione dei problemi, rischieremo anche noi per rifugiarci in insospettabili prigionie, magari con l’approvazione dei nostri capi.

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