Congedo climatico in Spagna: una soluzione applicabile anche in Italia?

La Spagna introduce il “congedo climatico”: fino a quattro giorni retribuiti l’anno in caso di eventi meteo estremi. Una misura pionieristica che l’Italia potrebbe adottare per colmare le attuali lacune normative nella tutela dei lavoratori

congedo climatico in Spagna: si può fare anche in Italia?

Il cambiamento climatico ha cessato da tempo di essere una questione teorica per diventare, ormai stabilmente, una variabile determinante della vita sociale ed economica. Alluvioni, incendi, ondate di calore e nevicate eccezionali non solo compromettono la sicurezza pubblica, ma influiscono anche sulla continuità operativa delle imprese e sulla tutela dei lavoratori. 

Proprio in questa direzione si è mossa recentemente la Spagna, introducendo una misura di grande interesse giuslavoristico: il cosiddetto congedo climatico, un nuovo istituto che si candida a diventare riferimento per i Paesi UE. 

Tale misura è stata adottata anche in conseguenza di una più che comprensibile sensibilità iberica sul tema del clima, in quanto non bisogna dimenticare che poco tempo fa la Spagna ha subito la tragedia dell’alluvione a Valencia e che, sotto un profilo anche politico, vi sono state fortissime critiche per non avere impedito ai lavoratori di andare a lavorare nei giorni che poi hanno portato alla morte di più di 200 persone.

Il provvedimento spagnolo: contenuti e finalità

Con il Real Decreto-legge n. 6/2024, la Spagna ha quindi introdotto una norma pionieristica in materia di diritto del lavoro, poi integrata all’interno dell’art. 37.3. dell’Estatuto de los Trabajadores (il corrispettivo del nostro Statuto dei Lavoratori). 

La nuova disposizione riconosce al lavoratore il diritto ad assentarsi dal lavoro, percependo comunque la retribuzione ordinaria, per un massimo di quattro giorni all’anno in presenza di fenomeni climatici estremi certificati dalle autorità meteorologiche ufficiali. 

La misura trova fondamento nell’allerta rossa o arancione emessa dall’AEMET (Agencia Estatal de Meteorología) e si attiva solo nel caso in cui non sia possibile svolgere le mansioni in modalità di telelavoro/smart working.

Il Decreto impone inoltre alle aziende l’obbligo di predisporre, entro 12 mesi, specifici protocolli per la gestione delle emergenze climatiche, da integrare nei piani di prevenzione dei rischi lavorativi. Questa previsione rafforza la responsabilità datoriale nella valutazione dei rischi ambientali e rappresenta una significativa evoluzione del concetto di prevenzione, che diventa ora anche “climatica”. 

Il quadro italiano: tutele indirette e lacune normative

Nel nostro ordinamento, la tutela del lavoratore contro i rischi climatici trova un fondamento generico nell’art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a garantire l’integrità fisica e morale dei dipendenti. 

Il D.Lgs. 81/2008 (il c.d. Testo Unico sulla Sicurezza), all’art. 28, richiama espressamente la necessità di valutare “tutti i rischi”, anche quelli derivanti da agenti fisici, atmosferici e ambientali.  Tuttavia, manca una normativa a livello statale che ricalchi il “meccanismo” spagnolo. 

In Italia, vi sono alcune disposizioni contrattualcollettive (come nel settore edile o agricolo) che prevedono solo sospensioni dell’attività decise unilateralmente dal datore con meccanismi complessi e spesso legati alla Cassa Integrazione Ordinaria (CIGO) oppure dei provvedimenti a livello ministeriale o da parte di enti preposti che si configurano più come una sorta di “raccomandazioni”, non avendo particolare efficacia cogente.

Una proposta per l’Italia: il congedo climatico come diritto “emergente”

L’introduzione del congedo climatico in Italia potrebbe avvenire mediante un nuovo provvedimento normativo ad hoc oppure una novellazione del Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro (ad esempio nell’alveo dell’art. 44 che si occupa dei pericoli gravi ed immediati) o, ancora, con l’introduzione di un comma aggiuntivo all’art. 2110 c.c. (che disciplina la conservazione del posto e il mantenimento della retribuzione in specifiche ipotesi come la malattia, l’infortunio etc.).

Tale novella potrebbe trovare un fondamento giuridico nell’ambito dell’art. 32 Cost., che tutela la salute, e dell’art. 41 Cost., che pone limiti all’iniziativa economica in presenza di esigenze sociali e ambientali. 

Non si tratterebbe di un beneficio strettamente assistenziale, ma di una misura coerente con i principi di prevenzione, sostenibilità e adattamento climatico, in linea con le direttive europee e gli obiettivi del cd. “Green Deal”. La necessità di prendere coscienza del mutamento climatico anche in un’ottica giuslavoristica

La previsione del congedo climatico in Spagna rappresenta un passo importante verso un diritto del lavoro più moderno. L’Italia, da sempre esposta a fenomeni meteorologici estremi, non può restare indietro. È tempo che il Legislatore italiano colmi il vuoto normativo, fornendo ai lavoratori strumenti adeguati per fronteggiare l’impatto del clima sul lavoro. 

Una tale riforma non solo contribuirebbe alla tutela della salute e alla prevenzione degli infortuni, ma costituirebbe un segnale forte di civiltà giuridica e di attenzione alle trasformazioni ambientali che investono il nostro tempo.

L’attuale quadro normativo italiano non prevede un diritto soggettivo all’astensione retribuita dal lavoro per cause climatiche e sarebbe quindi opportuno implementare un nuovo intervento normativo che preveda: i) la previsione, per un numero massimo di giorni all’anno di una sospensione del lavoro che non comporti la perdita della retribuzione; ii) la “non necessità” della contrattazione collettiva per riconoscere tale diritto; iii) la specificazione che tale sospensione si possa attivare solo in casi eccezionali riconosciuti da enti di controllo pubblici anche per specifici territori. 

Ovviamente, in parallelo, potrebbe anche essere prevista la possibilità, ove compatibile, di attivare lo smart working in forma semplificata (come era sostanzialmente previsto sotto il regime della normativa emergenziale determinata dal Covid-19). Tali misure, che solo qualche anno fa potevano sembrare esercizi di pure fantasia, trovano oggi ragion d’essere nei mutamenti climatici che, nel tempo, stanno divenendo sempre più violenti.

* L’Avv. Sergio Alberto Codella è partner di Orsingher Ortu Avvocati Associati

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