«Felicità e produttività sono collegati, con Changers spiego perché»


Alessandro Rimassa è il fondatore della nuova community dedicata alla crescita professionale:
«Per le nuove generazioni conciliare il lavoro e il tempo libero è più importante della carriera»

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«Sono convinto che la produttività e la felicità siano strettamente collegate e il mio ultimo progetto si occupa di favorire la chiusura di questo cerchio, sia per le aziende che per i lavoratori». Alessandro Rimassa sintetizza così gli obiettivi e le strategie di Changers, la community dedicata alla crescita professionale che rappresenta la sua ultima impresa e scommessa. Già co-founder di Talent Garden, piattaforma europea di spazi di coworking e formazione per l’innovazione, Rimassa è conosciuto anche per essere autore dei libri di successo Generazione 1000 euro e Company Culture.

Rimassa, cosa l’ha spinta a ideare Changers?

«Partiamo da una premessa. Ritengo che le competenze verticali in ambito digitale sono e rimarranno centrali nello sviluppo professionale delle persone e in generale per tutto il sistema del mondo del lavoro. Terminata l’esperienza con Talent Garden mi sono fatto due domande. La prima è: “Cosa serve alle persone per crescere nella loro professione?” E la seconda: “È importante trovare un lavoro o essere felici per quello che si fa”?

Soprattutto in Italia assistiamo a una continua lamentela sul posto di lavoro e la mia opinione è sempre stata che le aziende che funzionano sono quelle dove i lavoratori sono soddisfatti. Per questo alla fine mi sono risposto che oltre alle competenze verticali iniziano a pesare sempre più quelle trasversali, delle quali nel nostro Paese ci occupiamo poco. In Italia per esempio lavoriamo più ore ma siamo meno produttivi di altri Paesi».

Questo scenario come cambierà a causa dell’epidemia?

«Ci siamo trovati di colpo a lavorare da casa, perdendo alcuni punti di riferimento, comprese le lamentele sul posto di lavoro… Per lavoratori e aziende sono essenziali due cose. La prima sono le competenze legate alla produttività, la comunicazione e la risoluzione dei problemi. La seconda è la comprensione su quali sono le aziende giuste per noi: non è detto che tutti debbano fare carriera ma negli ambienti lavorativi diventa sempre più centrale quello che gli anglosassoni definiscono fulfilment, che potremmo definire “pienezza al lavoro” o esasperando il concetto “felicità al lavoro”. Da qui quel legame tra produttività e felicità del quale si occupa Changers».

In che modo?

«Una scuola di formazione totalmente online, ma non escludo che quando sarà possibile si potrà pensare di sviluppare il progetto anche in presenza, nata da una community online che su Facebook conta 3.000 persone. Il lancio è avvenuto il 7 settembre 2020 e la prima lezione si è svolta il 7 dicembre. Quest’anno lanceremo diversi corsi per aiutare lavoratori e aziende a sviluppare competenze trasversali, quindi a essere più produttivi e felici. La visione a lungo termine connette felicità e produttività, quella a più breve termine dice invece alle persone di trovare una propria dimensione. Quindi viene curata una doppia dimensione, sia corporate che consumer».

Qual è il profilo medio di chi partecipa alla community?

«Un’età media di 39 anni con una prevalenza di donne, che sono il 56%. Per la grande maggioranza, il 90%, si tratta di lavoratori dipendenti e dalle loro storie emerge la necessità di trovare un senso nel mestiere che fanno. Per qualcuno lo scopo finale è la carriera, per altri lo stipendio, ma tra gli obiettivi è sempre più presente la necessità di impegnarsi per essere felici nelle propria professione. E poi il 75% crede molto nella formazione e chiede all’azienda di comprare servizi per rimanere aggiornati»

Avete deciso di sperimentare anche nella didattica.

«Sì, per la community produciamo contenuti quotidiani. Sono esercizi, guide e in generale contenuti concreti come punti di partenza. Su questi poi costruiamo i corsi, nei quali aggiungiamo altre parti. La metodologia didattica prevede brevi video da 5-10 minuti. Alla fine del corso chi lo ha seguito ha un workbook da poter utilizzare».

Il Covid-19 ha ispirato il progetto o ha modificato un’idea iniziale?

«Sono sincero, il pensiero c’era già prima ma l’idea è stata realizzata nel pieno della pandemia. Anzi, proprio le difficoltà iniziali che vedevamo in giro nella riorganizzazione del lavoro a distanza ci avevano spinto a realizzare dei video di assistenza sullo smart working che abbiamo messo su internet. Tantissime aziende li hanno visti e ci hanno contattato. Secondo me deve essere chiaro il concetto che una modalità di lavoro ibrida rimarrà anche in futuro. È cambiata la struttura della vita: si è passati dal concetto di work-life balance a quello di life balance, che consiste nel fatto che il lavoro fa parte della nostra vita e non è necessariamente in contrasto con il nostro tempo libero».

In Italia c’è sempre stata l’idea che ottenuto il posto fisso si sia raggiunto l’obiettivo e ci si senta arrivati. Voi mettete in discussione questo paradigma.  

«È così, ma c’è da dire che stiamo solo anticipando una tendenza già in atto. Il posto fisso – per come è stato conosciuto e idolatrato – esisterà sempre meno e lo dimostra una tendenza globale. Io credo che lo Stato abbia il compito di occuparsi di chi è in difficoltà ma è anche vero che un sistema economico funzionante deve essere centrato sull’intraprendenza delle persone che operano nell’interesse comune. Noi proviamo a suggerire che oltre il posto di lavoro c’è la soddisfazione come professionista. Le ricerche ci dicono che la generazione Z è interessata al lavoro come parte della vita e non come scopo ultimo. Sono cambiamenti epocali e quindi molto lunghi ma la dimensione si sta sempre più spostando dallo stipendio e dalla carriera alla possibilità di accedere a welfare aziendali attenti ai bisogni delle persone».

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