Gig economy a tutele crescenti, qualcosa si muove

I riders sono la prima categoria di lavoratori incontrata dal ministro Luigi Di Maio, si punta a un contratto collettivo nazionale. Sullo status normativo dei gig workers la politica comincia a muoversi

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Un contratto collettivo nazionale dei riders.

È quello a cui punta il neoministro del lavoro Luigi Di Maio che nelle ultime settimane ha incontrato più volte e messo intorno a un tavolo i rappresentanti dei ciclofattorini, delle piattaforme digitali del food delivery e dei sindacati per raggiungere un’intesa. Secondo le intenzioni del ministro l’accordo dovrà necessariamente prevedere un compenso minimo orario, la copertura Inail e Inps e il diritto a non dipendere da un algoritmo, eliminando quindi il punteggio reputazionale.

Nel mondo della gig ecomomy qualcosa dunque, sul fronte dell’azione politica, comincia a muoversi.

Meno di due mesi fa sul tema e sullo stato normativo di questa categoria di lavoratori al servizio “on demand” di piattaforme digitali avevamo intervistato il segretario confederale della Uil, Guglielmo Loy. In quell’occasione Loy aveva sottolineato la necessità di costruire al più presto un sistema di tutele e uno strumento giuridico ad hoc per i gig workers.

In effetti anche oggi il tema è il tipo di contratto da applicare a questa categoria di lavoratori che non sono propriamente né subordinati né autonomi. Tra l’altro anche scegliendo una delle due categorie, le opzioni di contratti a disposizione sono diverse: sono considerati subordinati il lavoro a termine, intermittente, occasionale, a somministrazione; mentre nel campo del lavoro autonomo ci sono la collaborazione e la partita Iva. “Si è aperta una discussione utile rispetto un settore che oggi non è assolutamente regolamentato”, ha commentato il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. “Ma c’è ancora molta strada da fare. Alcuni nodi continuano a essere fondamentali, come la subordinazione del rapporto di lavoro”. Un possibile riferimento per la contrattualizzazione dei ciclofattorini potrebbe essere il contratto della logistica, già applicato per esempio ai lavoratori nei magazzini di Amazon in Italia.

Ben disposti verso il percorso di “regolamentazione” appaiono anche i rappresentati delle piattaforme digitali del food delivery, almeno quelli che si sono seduti al tavolo ministeriale. “Il ministro ha detto che la strada è la concertazione e noi lo condividiamo. La nostra carta dei diritti (firmata anche da Foodracers, Moovenda e Prestofood, ndr) è un buon punto di partenza per la discussione”, ha commentato l’amministratore delegato di Foodora Italia, Gianluca Cocco.

Si è detto contento del confronto anche Giovanni Imburgia di Social food, mentre Guido Consoli di Prestofood.it ha fatto notare che “c’è ancora molta distanza tra le posizioni di lavoratori e aziende”.

Ma i gig workers non sono solo i riders. Sono anche le baby sitter di una sera, gli addetti alle pulizie e i click workers delle piattaforme online. Si spazia dalla consulenza al design, dalla traduzione di testi a vere e proprie missioni in incognito per verificare le politiche commerciali dei negozi. Contarli con certezza è un’impresa ardua: ci ha provato la fondazione Rodolfo Debenedetti stimandone circa 700 mila (il 2,5% della popolazione in età attiva). Di questi circa 150 mila si mantengono esclusivamente con i “lavoretti” delle piattaforme online, mentre i riders sono “solo” 10 mila. Ecco perché una volta aperta la strada con i ciclofattorini, la disciplina trovata dovrà estendersi a tutta la vasta gamma dei gig workers.

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