L’importanza della formazione esperienziale e dell’intelligenza collettiva nei nuovi modelli di leadership

Tra i molteplici approcci alla formazione, Experio, uno dei leader di settore, punta a una metodologia basata sull’esperienza pratica e collettiva, con l’obiettivo di rafforzare la resilienza dell’azienda. Porre al centro di qualunque crescita il capitale umano, infatti, è il primo passo per scoprire la forza che si nasconde in ciascun dirigente, manager e dipendente. Ne abbiamo parlato con Jerome Felici, Partner & MD di Experio.

jerome felici

Un modello di leadership efficace e al passo con i tempi e le nuove esigenze, in grado di gestire correttamente anche situazioni molto complesse, è di fondamentale importanza per qualunque azienda, perché ne può rafforzare la resilienza. Jerome Felici è Partner & MD di Experio, una società di formazione esperienziale rivolta a dirigenti, quadri e manager. Il 6 luglio alle 10.00 sarà presente per un intervento al Salone della Formazione, l’evento promosso da HR Link che riunisce i più importanti esponenti del settore.

Dottor Felici, quali passi dovrebbe compiere un’azienda per promuovere il proprio successo?

«È fondamentale avere non solo una struttura ben organizzata, ma anche in grado di operare sinergicamente nelle sue parti, come un ingranaggio. Occorre preparare all’ambiente in cui lavora il personale che opera nella gestione delle crisi e promuovere il riconoscimento di un leader – o di un team di leader – adatto a presiedere alla gestione delle situazioni complesse: è questo il fattore decisivo».

Cosa significa che un leader, o un gruppo, si assuma rischi analizzati?

«Significa essere innanzitutto preparati: bisogna partire dalla consapevolezza che, a prescindere dall’ambiente sociale o economico-finanziario e persino dall’evoluzione dei mercati, non esiste attività o progetto esente da crisi. Un leader non si assume i rischi solo perché è stato identificato come la figura di riferimento in queste situazioni: non si tratta di un mero scaricabarile, ma è il frutto di un processo virtuoso. L’analisi dei rischi, infatti, mira a due obiettivi: innanzitutto la condivisione con tutti gli attori coinvolti, in modo tale che ciascuno sappia perfettamente cosa sta succedendo e cosa potrebbe succedere, nell’ottica di un coinvolgimento attivo. I collaboratori diventano così cartina al tornasole dell’operato: possono appoggiarlo, certo, ma anche opporsi con precise osservazioni, così da migliorare l’intero processo. In secondo luogo, è quindi essenziale che ognuno partecipi a una riflessione condivisa, che permette di costruire piani e azioni in grado di limitare gli effetti della crisi. Lo scopo finale, infatti, è sempre il raggiungimento degli obiettivi. È in questo modo che un leader deve assumersi i rischi: condividendoli e mettendo insieme persone che possano contribuire a elaborare i piani per far fronte alle situazioni di crisi».

Che ruolo giocano la delega e la chiarezza dei ruoli nella gestione delle crisi?

«Questi due elementi creano un processo virtuoso, con numerosi benefici: ci si espone di meno, si riducono i rischi complessivi, si è in grado di prevedere e di rispondere meglio agli eventi, senza limitarsi a una pura risposta meccanica, quasi istintiva. Si garantisce così una migliore conoscenza comune di tutti gli attori del processo e si instaura un meccanismo di fiducia reciproca tra leader e livelli esecutivi. Se tutti hanno ben chiaro e definito il proprio ruolo, quindi, si è in grado di ottimizzare al meglio le risorse disponibili. Le situazioni di crisi hanno tempi molto stringenti, perciò è fondamentale avere una struttura in grado di rispondere prontamente. La delega, del resto, consente di soddisfare una migliore distribuzione della responsabilità e dei ruoli. In questo modo, quindi, i leader possono mantenere una visione globale ed essere in grado di anticipare gli eventi: possono cioè essere distaccati, un requisito essenziale in queste situazioni».

In un processo di gestione delle crisi, come fanno i manager ad assistersi in modo reciproco?

«Prima di giungere all’aiuto reciproco occorre essere ben preparati: sembra un paradosso, ma allenarsi in situazioni complesse e difficoltose riduce di molto la necessità di richiamare o persino rincorrere aiuti esterni. Questo perché l’aiuto reciproco si autogenera e si autoalimenta: avere una serie di risorse ben preparate e organizzate impedisce di essere sommersi da qualunque crisi. In quest’ottica non dovremmo parlare di semplice aiuto reciproco, ma di vera e propria sussidiarietà».

Qual è la vostra modalità operativa?

«Crediamo molto nella pratica e nell’esperienza: per questo proponiamo sempre soluzioni e simulazioni in outdoor, create su misura a seconda del contesto, degli obiettivi e dell’ambiente in cui si muove un’azienda. Il nostro contributo, almeno in fase di “iniziazione” alla gestione della crisi, è sempre decontestualizzato: in questo modo i partecipanti sono in grado di apprendere sperimentando e, allo stesso tempo, di astrarre e traslare i contenuti e le competenze acquisite in molteplici situazioni specifiche. In questo c’è un grande valore aggiunto: il partecipante è portato via dalla sua zona di comfort e vive esperienze che, a primo impatto, non sono necessariamente attinenti al suo ambiente. E proprio così, invece, entra in possesso di quelle chiavi universali che può riutilizzare ogni qualvolta si renda necessario».

Chi sono i vostri formatori?

«Sono innanzitutto dei mentori, che però hanno una precisa peculiarità: provengono dal mondo militare – Marina, Aeronautica e non solo – e da quello della gestione delle emergenze – come Protezione civile o Vigili del fuoco. Sono tutti ex ufficiali generali, con un doppio percorso: terminata al loro esperienza sono diventati consulenti, dirigenti e docenti: hanno cioè messo a frutto le metodologie militari all’interno di un ambiente civile, in una chiave operativa mirata a soluzioni aziendali. Si tratta di un meccanismo che potremmo definire universale: abbiamo infatti notato che la base per la gestione delle crisi e dei negoziati, ma anche per la mobilitazione dell’intelligenza collettiva, è la stessa in tutto il mondo».

In che modo la pedagogia basata sull’esperienza potenzia i benefici di una organizzazione già efficace?

«In realtà, sono davvero poche le organizzazioni che non possono migliorare. Experio non opera sulle organizzazioni in senso meccanico, cioè sulle funzioni dell’azienda, ma sul modo in cui avviene il lavoro, come si struttura tra i dipendenti e come questi lavorano assieme. È proprio qui che c’è una forte leva di crescita, spesso poco intuita anche da manager illuminati. La capacità di comprendere il potenziale insito in ciascuno dipende molto dall’esercizio della leadership, che deve portare a dare il meglio di sé e portare tutti a fare altrettanto. La pedagogia esperienziale permette quindi di identificare, capire e comprendere quale possa essere – e dove risieda – il margine di miglioramento, che spesso è davvero enorme. Fattori come l’intelligenza collettiva, la libertà di azione di ciascuno, la capacità di gestire imprevisti ed eventi senza allontanarsi dagli obiettivi comuni diventano essenziali all’interno di un modello di leadership in grado di far fronte a qualunque difficoltà».

Jerome Felici sarà presente giovedì 6 luglio all’evento Salone della Formazione in qualità di speaker con un intervento dal titolo “Formazione esperienziale: l’intelligenza collettiva come leva di crescita” dalle ore 10.00 alle ore 11.30.

Per maggiori informazioni:  https://www.ilsalonedellaformazione.it

error

Condividi Hr Link