Retail e formazione: la sfida di Douglas con Skillvue

Grazie alla collaborazione con Skillvue, Douglas ha introdotto assessment rapidi e personalizzati per conoscere meglio la propria forza vendita e progettare percorsi di sviluppo realmente efficaci, anche in un settore complesso come il retail

Il retail è un settore veloce, frammentato, profondamente legato ai contesti locali. In questo scenario, formare e far crescere le persone non è mai semplice. Per questo Douglas Italia ha scelto di ripensare i propri percorsi di sviluppo puntando sulla collaborazione con Skillvue, la startup che utilizza l’intelligenza artificiale per valutare e mappare le competenze.

Grazie a questi strumenti, l’azienda ha potuto ottenere una mappa dettagliata della propria forza vendita, profilare le competenze in modo oggettivo e accurato, individuare i bisogni formativi e riconoscere le potenzialità delle persone, rendendo così l’apprendimento continuo più strategico e sostenibile.

A raccontarlo è Francesco Caccavo, oggi CEO di Douglas Spagna e Andorra, che porta con sé anche l’esperienza da Vice President HR per il Sud Europa, fra cui l’Italia, ruolo che ha ricoperto fino allo scorso settembre: una doppia prospettiva che gli permette di leggere questa trasformazione sia con l’occhio del manager, sia con quello di chi ha lavorato a lungo con le risorse umane.

In Douglas vi siete trovati anche voi di fronte alla necessità di ripensare i percorsi di apprendimento e sviluppo? E in concreto, come vi siete mossi per renderli più efficaci e sostenibili?

Assolutamente sì. Il problema dei percorsi di sviluppo nel retail è sempre stato particolarmente annoso. In passato non avevamo la fortuna di poter contare sulle tecnologie che abbiamo oggi: pensare a uno sviluppo, al monitoraggio, alla valutazione e all’implementazione dei percorsi formativi era estremamente complesso e costoso.

Il retail è un business internazionale ma con fortissima localizzazione: il cliente segue dinamiche culturali e locali diverse, quindi anche i venditori devono adattarsi con approcci differenti. Questo ci imponeva di fare formazione sul territorio: un’attività continua e impegnativa, prima in aula e poi online. Ma la formazione online tradizionale aveva grossi limiti: parlavamo a persone abituate a stare davanti a un cliente, non davanti a un computer. 

Col tempo la tecnologia è cambiata. I grandi brand hanno introdotto piattaforme proprie, corsi, logiche di gamification. Anche noi abbiamo iniziato a sperimentare, ma in modo destrutturato: mancava un processo organico per valutare i gap formativi. Con le tecnologie di allora si riusciva solo a proporre percorsi standardizzati.

Io stesso, dopo anni da fautore della standardizzazione, ho capito che valorizzare le persone significa valorizzarne le differenze. Ci vogliono linee guida comuni, ma dentro a quelle è fondamentale lasciare libertà: se non si è spontanei, è difficile vendere e convincere un cliente.

Da qui l’esigenza di attività formative più personalizzate. Per attivarle servivano informazioni più precise sulle persone: non solo se avevano fatto un corso, ma a che punto fossero davvero. Questo poteva avvenire solo con un processo di assessment. A noi serviva qualcosa di più snello, capace di dare informazioni semplici ma utili.

Avete scelto di collaborare con Skillvue, la startup che si occupa di valutare e mappare competenze attraverso l’intelligenza artificiale. Com’è nata questa collaborazione e cosa vi ha convinto del loro approccio?

Da tempo eravamo curiosi di strumenti innovativi: realtà virtuale per simulare processi di vendita, realtà aumentata per ricreare contesti di negozio. Ma tra costi e complessità del retail era difficile metterli in pratica.

Alla fine, abbiamo conosciuto Skillvue e Nicolò Mazzocchi tramite una conoscenza comune (Lorenzo Cattelani, CEO Clutch). Stavamo già esplorando l’applicazione dell’intelligenza artificiale nella gestione del personale e abbiamo approfondito il discorso con loro. Quello che mi ha colpito è che sono una realtà giovane e dinamica, con idee fresche. Non persone che dicono “non si può fare”:  si mettono a ragionare e cercano soluzioni.

Questa mentalità ci ha aiutato a costruire insieme un modello funzionante. Nel retail il tempo è cruciale: per questo serviva un prodotto leggero e snello, capace di dare informazioni utili e rapide.

Come avete integrato la piattaforma nei vostri processi di formazione e sviluppo? Quali risultati o cambiamenti avete già osservato, sia a livello di engagement delle persone che di impatto sul business?

Il primo risultato è stato la possibilità di avere una fotografia precisa e personalizzata di ogni collaboratore: competenze, potenziale, attitudini, aspettative. Un assessment veloce e pratico.

Per noi è fondamentale perché puntiamo molto sulla crescita interna. In Italia abbiamo circa 2500 persone distribuite ovunque: incontrarle tutte richiederebbe anni. Grazie al lavoro con Skillvue raccogliamo informazioni veloci, scopriamo opportunità e individuiamo potenziali talenti.

Oggi lavoriamo su due piattaforme: Dalia, con corsi leggeri e brevi che si concentrano non solo sulla vendita ma anche sulla crescita culturale e personale; e Douglas Academy, che diventerà il sistema centrale. Qui l’apprendimento avviene soprattutto via smartphone: è più semplice, accessibile e interattivo.

Il valore aggiunto è che dietro c’è un sistema che calibra l’offerta in base al profilo del collaboratore, un po’ come fanno gli algoritmi delle piattaforme digitali.

I feedback sono stati molto positivi: nelle survey interne i punteggi sono altissimi. Le persone hanno apprezzato l’ascolto e la possibilità di ricevere percorsi su misura. Questo migliora il clima, abbassa il turnover e aumenta la percezione di benessere.

Guardando al futuro, come immagina l’evoluzione della formazione in Douglas e, più in generale, nel settore retail? Quanto conta oggi la tecnologia nel rendere l’apprendimento davvero continuo e accessibile a tutti?

La tecnologia è fondamentale. Tra qualche anno forse sarà l’AI stessa a veicolare i processi formativi, e probabilmente lo farà meglio di noi quando si tratta di trasferire informazioni.

Diverso è il discorso per la gestione delle persone, che ha una forte componente emotiva. Chi lavora nelle risorse umane sa bene che non si tratta solo di contratti e amministrazione.

Nei processi di selezione, per esempio, la componente umana è necessaria, anche se supportata da strumenti digitali che rendono il tutto più veloce ed economico. Perché alla fine, in un’azienda come nel retail, sono sempre le persone a fare la differenza.

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