A lezione di lavoro agile: «Superare orari e modalità di lavoro rigide e umanizzare le relazioni e i contesti»

Ecco come saranno smart working e lavoro del futuro per Mariarosaria Carlesimo, HR director di Entain Italia.

mariarosaria carlesimo

La capacità di monitorare il lavoro a distanza da parte dei manager è cresciuta del 10% dopo la pandemia, secondo una ricerca realizzata dall’Ufficio studi Variazioni, così come la tendenza a delegare (+7%) e la fiducia nel proprio team (+17%). «Stiamo scrivendo il futuro del mondo del lavoro», afferma Mariarosaria Carlesimo, HR director di Entain Italia.

Dottoressa Carlesimo, cosa intende dire?

«Dopo lo shock della pandemia ora ci rendiamo conto che gli attori e le attrici che due anni fa gestivano le aziende con degli strumenti e delle dinamiche di un certo tipo sono gli stessi a cui viene chiesto oggi di fare veramente un salto».

Una cosa è lo stato d’emergenza, altra la routine…

«In quella fase tutti ci si è attrezzati per cercare di andare avanti; oggi occorre passare a una modalità più strutturata. Nella fase emergenziale abbiamo ritenuto che quello che si faceva andasse benissimo, perché si è riusciti a permette la continuità delle nostre aziende. Oggi non parliamo più di delega, ma riflettiamo sulla costruzione di un rapporto con le nostre risorse e con i team di comunicazione che preveda ascolto e fiducia.  Ciò significa che i manager devono rendersi conto che le soft skill sono diventate una competenza da possedere e – se non la si possiede – da formare».

Cosa deve fare un bravo manager?

«Dovrà passare dalla teoria alla pratica. E costruire relazioni reali di delega e di fiducia, che sono caratteristiche a maggior ragione fondamentali per il lavoro da remoto. La nostra cultura è ancora legata al luogo comune per cui si teme che il dipendente – se non “controllato” fisicamente – invece di lavorare vada al supermercato o a prendere i figli a scuola. Ma la flessibilità è un valore che non necessariamente si traduce nel fatto che un dipendente dedichi meno tempo all’azienda.  Anzi, cercando di lavorare su una comunicazione costante e sull’ascolto, noi manager – insieme agli amministratori delegati e agli altri dirigenti d’azienda – dobbiamo dettare nuove regole e indirizzi nell’ottica dell’umanizzazione delle relazioni. Oggi sappiamo che si può lavorare in un contesto flessibile, dove la vita privata non può e non deve essere negata: uscire dall’ufficio per una visita medica o anche per prendere un caffè con un’amica prima delle 19.30 non può equivalere a sostenere che non si è lavorato.  È necessario introdurre un concetto diverso di delega che parta proprio dall’umanizzazione del lavoro, che deve essere pensato per obiettivi. Ecco, nella nostra azienda vorremmo cominciare a parlare anche con le rappresentanze sindacali, per aprire il tavolo su vari temi come ad esempio il timbrare entrata, uscita, pranzo. Dobbiamo riuscire a creare un contesto in cui ci sia fiducia».

Oltretutto durante la pandemia le persone hanno dimostrato di lavorare molto, a volte troppo…

«Sì, dobbiamo uscire da questa logica. Nell’arco delle 12 ore le persone possono ritagliarsi delle pause. Noi vorremmo costruire un percorso che valorizzi la vita privata e che senz’altro darà anche un ritorno in termini di produttività».

Attualmente siete in smart working?

«Abbiamo fatto tutto da remoto per quasi due anni, scegliendo di privilegiare la sicurezza e la tutela della salute; a noi sembrava presto rientrare già a settembre 2020, come hanno fatto altre aziende. Da quest’anno abbiamo iniziato con un giorno a settimana in presenza. Abbiamo pensato che anche la paura fosse da rispettare, e abbiamo messo al centro la persona, allentando anche un po’ il ritmo, approfittando del momento per ragionare su modelli nuovi, anche a partire dal linguaggio. Smettendo, ad esempio, di chiamare il proprio superiore “capo”, ma identificando queste figure con manager in possesso di doti di leadership».

Il rientro sarà, quindi, graduale?

«Sì, ci siamo dati come obiettivo i due giorni fino a metà aprile, per poi capire come proseguire. E anche allora si lavorerà su un concetto di flessibilità diverso, che, appunto, superi l’idea dell’orario, di straordinario, di ferie come siamo stati abituati a pensarli fino ad ora. Ovvio che si dovranno risolvere una serie di circostanze e trovare il giusto equilibrio anche in considerazione degli istituti di legge, perché gli amministratori si spaventerebbero a vedere crescere il monte ferie da smaltire… Ma sono certa che le norme verranno incontro a questo passaggio».

Qual è l’età media della vostra azienda e come crede che le persone reagiscano di fronte a questa nuova modalità?

«Siamo attorno ai 35/37 anni; il grosso della popolazione è costituito sostanzialmente da millennials. Si tratta di persone ambiziose, che si trovano nel cuore della loro carriera ma anche in un momento cruciale per la vita personale, stanno creando le loro famiglie. Noi, già prima della pandemia, organizzavamo il family day e arrivavano oltre un centinaio di bambini».

Lei parla di umanizzazione…

«Sì, e non significa restare sempre a distanza, perché è importante anche non essere travolti dal bombardamento tecnologico e ritrovarsi fisicamente. Vogliamo, insomma, contribuire ad umanizzare i diversi ambiti di vita».

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