Blocco dei licenziamenti: il punto della situazione

L’entrata in vigore del decreto Lavoro (D.L. n. 99/2021) ha comportato alcune importanti novità relativamente al blocco dei licenziamenti. Di seguito, un’analisi dell’attuale situazione a cura dello studio legale Fava & Associati

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Il divieto di porre in essere licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo, introdotto ab origine dal decreto “Cura Italia” e più volte prorogato, è stato di recente rivisto dapprima dal decreto Sostegni-bis e, successivamente, dal decreto Lavoro i quali, discostandosi dal precedente meccanismo che prevedeva un divieto generalizzato, hanno differenziato il termine di vigenza del blocco a seconda del settore di appartenenza dell’impresa interessata.

Quali imprese possono licenziare

A partire dal 1° luglio le imprese rientranti nel campo di applicazione della Cigo (industria) possono (in linea di massima) porre in essere licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo.

Tuttavia, il divieto torna a operare nei seguenti casi:

  1. le imprese di cui sopra, a decorrere dalla data del 1° luglio 2021, sospendono o riducono l’attività lavorativa e presentano domanda di Cigo/Cigs (ordinaria); in tal caso, il blocco dei licenziamenti vige limitatamente alla durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021;
  2. le imprese di cui sopra, che non possono ricorrere agli “ordinari” trattamenti di integrazione salariale, presentano domanda per il trattamento straordinario di integrazione salariale in deroga introdotto dal decreto Lavoro, fruibile per un massimo di 13 settimane entro il 31 dicembre 2021; anche in tal caso, il blocco dei licenziamenti vige limitatamente alla durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021.

Ciò detto, giova precisare che – in sede di avviso comune firmato dalle parti sociali in concomitanza con l’emanazione del decreto Lavoro – dette parti hanno formulato una raccomandazione alle imprese avente ad oggetto il preliminare ricorso agli ammortizzatori sociali prima di avviare licenziamenti collettivi od individuali per Gmo.

Quali imprese non possono licenziare

Al contrario, le imprese rientranti nel campo di applicazione di assegno ordinario, Cigd e Ciscoa non possono porre in essere licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo sino alla data del 31 ottobre 2021, a prescindere dalla effettiva fruizione dei trattamenti di integrazione salariale.

Nella medesima situazione si trovano altresì le imprese tessili, delle confezioni di articoli di abbigliamento e di articoli in pelle e pelliccia, e delle fabbricazioni di articoli in pelle e simili (identificate da codice Ateco 13, 14 e 15), le quali, analogamente, non potranno porre in essere i licenziamenti oggetto del divieto sino alla data del 31 ottobre 2021, a prescindere dall’effettiva fruizione dei trattamenti di integrazione salariale ad esse appositamente destinati.

Quali deroghe al blocco dei licenziamenti

Restano invariati i casi in riferimento ai quali non vige il divieto di licenziamenti collettivi ed individuali per Gmo, ovvero:

  1. in caso di licenziamenti collettivi, il personale interessato dal recesso è impiegato in un appalto ed è stato riassunto dall’appaltatore subentrante in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola contenuta nel contratto di appalto;
  2. il licenziamento è motivato dalla cessazione definitiva dell’attività di impresa oppure dalla cessazione definitiva dell’attività di impresa conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, in assenza di cessione di un complesso di beni o di attività tali da configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa;
  3. il licenziamento è intimato nei confronti di lavoratori che abbiano aderito a un accordo collettivo aziendale, stipulato con i sindacati comparativamente più rappresentativi a livello nazionale, di incentivazione alla risoluzione del rapporto di lavoro (i lavoratori aderenti possono accedere al trattamento di Naspi);
  4. il licenziamento è intimato in caso di fallimento, qualora non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione.

Le fondate ragioni di licenziamento

Giova ribadire come il blocco dei licenziamenti riguardi unicamente i licenziamenti collettivi o i licenziamenti individuali per Gmo. Pertanto, anche in vigenza del blocco, è sempre possibile porre in essere licenziamenti fondati su differenti ragioni giustificative, quali, a titolo esemplificativo:

  • i licenziamenti per giusta causa;
  • i licenziamenti per giustificato motivo soggettivo;
  • i licenziamenti per raggiungimento dell’età pensionabile;
  • i licenziamenti determinati dal superamento del periodo di comporto;
  • i licenziamenti per mancato superamento del periodo di prova;
  • i licenziamenti al termine del periodo di apprendistato.

I licenziamenti per inidoneità fisica alla mansione

Una menzione a parte merita il licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica alla mansione. Sul punto, infatti, giova richiamare la sentenza resa dal Tribunale di Ravenna in data 7 gennaio 2021, la quale ha ritenuto che anche tale ipotesi debba rientrare nel divieto di licenziamento introdotto dalla normativa emergenziale. Infatti, il licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica alla mansione è considerato, secondo consolidata giurisprudenza e dottrina intervenute in materia, rientrante a pieno titolo nella categoria del licenziamento per Gmo. Pertanto, a detta del giudice di Ravenna, anche per tale licenziamento debbono valere le stesse ragioni di tutela economica e sociale che stanno alla base di tutte le altre ipotesi di licenziamento per Gmo oggetto di divieto da parte della normativa emergenziale.

Il licenziamento dei dirigenti

Da ultimo, non appare superfluo porre l’accento sul contrasto giurisprudenziale sorto relativamente all’applicabilità del blocco dei licenziamenti alla categoria dirigenziale. Infatti, stando a un’interpretazione letterale della norma, in virtù del richiamo dalla stessa operato all’art. 3 della Legge n. 604/1966, pacificamente non applicabile ai dirigenti, questi ultimi risulterebbero esclusi dal blocco. Di diverso avviso, la prima pronuncia intervenuta sul tema (ordinanza del Tribunale di Roma datata 26 febbraio 2021), la quale ha ritenuto illegittimo il licenziamento di un dirigente intimato in vigenza del divieto, ritenendo quest’ultimo applicabile anche alla categoria dirigenziale. Tale interpretazione si fonda sulla ratio della norma impositiva del blocco, volta alla tutela dell’occupazione della generalità dei lavoratori, compresi i dirigenti, tra l’altro, a detta del giudice romano, più esposti al rischio di licenziamento, stante la maggiore elasticità del regime contrattual-collettivo a essi applicabile. Tale pronuncia è stata successivamente sconfessata dalla sentenza n. 3605 del 19 aprile 2021, emessa sempre dal Tribunale di Roma, la quale ha escluso i dirigenti dal campo di applicazione del divieto di licenziamenti, fondando le proprie argomentazioni sia sul dato letterale della norma sia sulla simmetria esistente tra il blocco e il ricorso a trattamenti di integrazione salariale, l’accesso ai quali è precluso alla categoria dirigenziale. Tale orientamento è stato successivamente avvalorato dal Tribunale di Milano il quale, con ordinanza del 17 giugno 2021, oltre a riprendere le medesime argomentazioni addotte dal Tribunale di Roma, ha altresì posto l’accento sul fatto che il legislatore, pur avendo avuto occasione di modificare la normativa emergenziale in questione, ha lasciato immutata la norma relativa al divieto, a ulteriore riprova della volontà di escludere i dirigenti da detta disciplina.

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