Certificazione delle competenze e open badge

Gli Open Badge sono distintivi digitali che certificano competenze, capacità, appartenenza a gruppi, partecipazioni a corsi o attribuzione di crediti. Sono basati su uno standard internazionale aperto e sono verificabili da chiunque e in tempo reale, costituendo uno strumento potente per stimolare l’apprendimento, certificare le proprie competenze sul mercato del lavoro e individuare i profili più adatti a ricoprire un ruolo aziendale. Abbiamo approfondito il tema con Luigi Susanna di Reiss Romoli.

open badge

Sono sempre più diffusi anche nel nostro Paese, gli Open Badge, ma ancora c’è poca chiarezza intorno al loro funzionamento e ai vantaggi che il loro utilizzo può portare: «Si tratta di digital credential, di un distintivo digitale all’interno del quale l’organizzazione dei dati è regolata da standard ben precisi, riconosciuti a livello internazionale» spiega Luigi Susanna di Reiss Romoli, che prosegue: «il vantaggio principale è che si tratta di un file .png, un’immagine quindi, che contiene dei dati al proprio interno: quando trasferisco l’immagine, trasferisco anche i dati, non li perdo come accade invece in un documento digitalizzato; ogni pezzo, inoltre, è unico e l’azienda ha la responsabilità dei dati e dei contenuti mentre la loro organizzazione viene certificata. L’Open Badge garantisce che quello che dichiaro è vero. È un attestato autoparlante che rimane nel tempo e che si arricchisce; non è un semplice certificato di fine corso: diventa un elemento di comunicazione, anche per l’azienda, che può così dimostrare la propria serietà».

Che tipo di dati si possono includere in un Open Badge?

«L’Open Badge consente di descrivere in maniera dettagliata diverse esperienze formative, inserendo una serie di dettagli che in un curriculum tradizionale non ci starebbero; non solo: posso inserire anche le microcompetenze e i corsi extracurriculari che ho seguito. Possiamo affermare che la “collezione” di tutti i miei Open Badge descrive il mio profilo in maniera migliore e più approfondita rispetto ai certificati tradizionali. D’altro canto, chi li rilascia deve essere in grado di descrivermi in maniera concreta: lo standard lascia lo spazio per la descrizione nel dettaglio dell’esperienza formativa, al contrario dei classici attestati».

I dati all’interno degli Open Badge non sono a rischio di manomissione o di falsificazione?

«Assolutamente no! Non si tratta di documenti digitalizzati, che si possono modificare con Photoshop, per esempio; il badge è personale, inviolabile e non manipolabile, neanche da un esperto di informatica: deve chiedere “le chiavi” all’azienda che l’ha emesso e ogni tentativo di violazione viene sottoposto a un processo di verifica (lo stesso destinatario è crittografato) che può invalidare il badge stesso».

L’Open Badge può essere utile anche in chiave di engagement, per mantenere i talenti in azienda?

«Certamente! Può diventare un meccanismo di fidelizzazione: il fatto che l’azienda riconosca in modo esplicito ogni mia competenza, mi fa venire voglia di “collezionarle” tutte implementandole attraverso i processi formativi a mia disposizione».

In Italia è ancora uno strumento nuovo, sconosciuto ancora a molte aziende, è vero?

«In effetti l’Italia è uno dei Paesi in Europa con la diffusione più bassa di Open Badge, benché le piattaforme fossero disponibili già dal 2015-16. Sicuramente una delle cause è stata la politica di pricing, che prevedeva un entry point molto al di sopra della media europea: ora il prezzo è stato abbattuto e il trend è in crescita, ma bisogna coinvolgere aziende, università ed enti formatori. In Europa si calcola che ci siano circa due milioni e mezzo di Open Badge e tutti gli standard di digital credential –americano, europeo, etc. – stanno convergendo verso una versione comune, la 3.0, che sarà il nuovo standard, con un numero ancora maggiore di servizi e situazioni che si potranno descrivere e con modalità di verifica ancora più sofisticate. Sarà pronta per la primavera 2023».

error

Condividi Hr Link