Connessione tra persone e attrazione di nativi digitali: il modello Coopservice

La pandemia è l’occasione per sperimentare un nuovo modello organizzativo, valido anche dopo la conclusione dell’emergenza sanitaria. Flessibilità e lavoro smart ma tenendo le persone connesse, portando nell’organizzazione il metodo Soleras. Ne abbiamo parlato con il direttore del personale, Fabio Nebbia.

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Progettare ora per creare le condizioni per lavorare meglio quando la pandemia sarà un ricordo, con la consapevolezza che non tutto tornerà come prima. Il virus è stato un acceleratore, ma i processi di cambiamento erano già in atto, da tempo. Un nativo digitale non lavora come suo padre o suo nonno: non è solo una questione di luogo fisico, è anche un tema motivazionale, di un modo diverso di relazionarsi con il contesto, di quello che adesso si chiama mindset digitale.

In Coopservice, colosso dell’Energy&Facility management, con 17 mila dipendenti diretti in Italia e all’estero, stanno costruendo il nuovo modello organizzativo, non lasciando cadere la spinta all’innovazione generata dalla reazione al coronavirus. Fabio Nebbia, con esperienze passate in General Electric, Cromology, Cefla, Honda e BMW Italia, è il direttore del personale della cooperativa con headquarter a Reggio Emilia.

“Come in tante altre aziende, la scorsa primavera abbiamo attivato lo smart working per quasi tutta la popolazione impiegatizia, per motivi di sicurezza sanitaria. Già allora, però, ci siamo chiesti come fare per rendere strutturalmente agile il lavoro. In questi mesi sono cambiate tante cose, che non torneranno come prima. Faccio un esempio per tutti: la formazione…”

Passerà la pandemia e si tornerà in aula…

“Intanto questa pandemia ha messo fuorigioco tutte quelle realtà che non hanno saputo adattarsi alla nuova situazione: non solo per le tecnologie ma per la capacità di interpretare il ruolo di formatore a distanza. È necessario passare dall’e-learning al concetto di digital learning, cioè considerare i supporti, l’interazione con l’aula, la durata, la cura della scaletta degli argomenti… Detto questo, aggiungerei che non si tornerà come prima”.

In che senso?

“Le persone di mezza età hanno un modo lineare di imparare e di formarsi. Quello dei Millennials o della Generazione Z è un modo di apprendere discontinuo, per esperienze successive, per emozioni e con un livello di attenzione fragile. Un esempio lampante di come venga stravolto uno dei meccanismi ordinari nella vita delle aziende”.

Come affrontare la questione, allora?

“La domanda da cui siamo partiti è: cosa fare per rendere più efficace il lavoro in questo nuovo scenario?”

Che risposta avete dato?

“Gli aspetti fondamentali da affrontare sono diversi: il primo è di processo, cioè capire quali criticità può avere il portare in remoto il lavoro svolto in presenza. Poi c’è un tema tecnico, cioè dotare le persone degli strumenti necessari, dai device ai software. Ultimo punto, più rilevante, è relativo all’aspetto gestionale: tutti – dal capo al collaboratore – dobbiamo porci in maniera diversa”.

Cosa significa porsi in maniera diversa nel lavoro?

“Ad esempio dobbiamo tutti abituarci a lavorare per obiettivi e questo aiuta le persone a responsabilizzarsi, nella concezione inglese dell’accountability, che vuol dire dare fiducia ai collaboratori sapendo che non si lasceranno “cadere la penna” se c’è qualcosa che non va o un problema non viene risolto.  Una situazione che richiede un impegno diverso anche da parte del capo, in termini di feedback continui e di delega. Poi c’è un aspetto fondamentale relativo alla comunicazione”.

Cioè?

“Da una nostra survey fatta durante il lockdown è emerso un aspetto interessante: il capo aveva l’idea di essere in contatto costante con il suo team, i collaboratori molto meno. La spiegazione logica è sia che il capo pensa di avere sempre il team allineato, sia che tendiamo a interagire con le persone con cui c’è più empatia e meno con le altre. Non va bene!”

E voi che programmi avete per evitare il ripetersi di situazioni simili?

“Il progetto che stiamo sviluppando come direzione Hr prevede tre livelli di azioni. Il primo è quello di dare precise regole di gestione dei rapporti da remoto, che vuol dire arrivare preparati e puntuali ai meeting, dare spazio all’interazione e stimolare la partecipazione, definire action plans al termine di ogni riunione, anche se non sarà più il caso di usare il termine riunione, perché il condividere spazi comuni via web sarà il normale modo di interagire lavorativamente. Il secondo livello è quello di stabilire dei livelli minimi di comunicazione\interazione con i collaboratori. Banalmente può voler dire di confermare le riunioni ricorrenti previste, anche se per quel giorno non ci dovesse essere un ordine del giorno definito, perchè interagendo e confrontandosi gli argomenti emergono sempre, anche da remoto. Quindi un metodo con delle regole e un ritmo da seguire e infine spiegheremo anche come connettere le persone”.

Qual è la vostra ricetta per tenere unita la comunità aziendale quando saremo tutti più distanti?

L’esempio che mi viene in mente per chiarirlo è quello del metodo Soleras, usato per il vino o i distillati. Abbiamo bisogno di tenere informate le persone su quello che accade ai livelli più alti aziendali, quindi le informazioni devono scendere a cascata, verso i livelli più bassi, trasmettendo quello che veramente conta, il distillato che può essere utile ai collaboratori per capire meglio il contesto e prendere le decisioni corrette. Questo vuol dire tenere connesse le persone, coinvolgerle nella vita d’impresa, stimolare in loro innovazione e propositività. In questo modo ogni persona comprende l’utilità del suo pezzo di lavoro, perchè connessa, appunto, con la linea superiore, quella inferiore o parallela. Il ruolo del capo, quindi, diventa fondamentale perché dovrà sperimentare lui stesso competenze nuove, interpretando via via il ruolo di comunicatore, pianificatore, coach. Dovrà inoltre calibrare correttamente il giusto mix di presenze in sede e di lavoro da remoto, a seconda delle varie situazioni o degli obiettivi da gestire. Sperimenteremo da subito il nostro progetto sullo smart working in qualche funzione aziendale e andremo a regime quando supereremo l’emergenza, in continuità e senza traumi”.

In conclusione, perchè lo fate? Quali sono gli obiettivi della nuova organizzazione? Cosa porta a Coopservice?

Lo facciamo per una serie di motivi. Il primo è un dato di fatto: il mondo del lavoro va in quella direzione, Covid o non Covid. Non possiamo fare diversamente. Per i ragazzi di oggi, l’ufficio in quanto posto fisico non avrà grande valore, perchè il loro modo di lavorare sarà diverso, estremamente flessibile, con obiettivi sfidanti e sempre nuovi. L’ufficio sarà una sorta di casa aggiunta a cui si accede non in base a degli orari fissi, ma per necessità di confronto diretto o di network. C’è poi un motivo di responsabilizzazione dei manager e dei collaboratori, che saranno orientati agli obiettivi. Avremo vantaggi anche in termini di brand reputation, ma soprattutto di incremento della capacità di essere scelti dai giovani talenti, ai quali offriremo un modo di lavorare più in linea con il loro modo di essere. Forse, lo dico per ultimo non a caso, ci saranno anche output di efficienza e di riduzione dei costi ma, sinceramente, non sono quelli i driver di processi di questo genere. Diciamo che ci faremo trovare pronti quando questo processo, fra non tanti anni, arriverà a maturazione: non vogliamo subire il cambiamento, lo vogliamo gestire. Ma forse, alla luce di quanto sta accadendo attorno a noi, non si può più parlare di cambiamento, ma di naturale evoluzione del modo di lavorare o, più in generale, di agire socialmente”.

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