Egon Zehnder, quando la consulenza risponde ai cambiamenti della società e dell’impresa

“Non bastano profili che rispondano alle esigenze funzionali dell’azienda, servono multidisciplinarietà, pensiero laterale ed empatia”

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Trasformare le persone, le organizzazioni e la società attraverso lo sviluppo di una leadership individuale e collettiva. Questa la mission principale di Egon Zehnder, società di consulenza leader a livello globale che, con i suoi 500 consulenti dislocati in 40 paesi e 68 uffici, da decenni affianca società pubbliche e private, aziende a conduzione familiare e agenzie non profit e governative fornendo servizi di consulenza in vari ambiti.

Il 2019 è stato un anno di notevole crescita per le società di executive search ed Egon Zehnder è stata riconosciuta dal comitato scientifico di Hr-Link come una tra le società top del settore.

Abbiamo parlato di questo e del modo di lavorare della società con cinque suoi consulenti: Salvatore De Rienzo, Riccardo Rossini, Rafella Mazzoli, Alessandra Tosi, Fabrizio D’Eredità.

In quale direzione sta andando il mercato nel vostro settore?

Salvatore De Rienzo – Da quello che vedo il mercato dell’executive search sta diventando più granulare. Da un lato ci sono bisogni di aziende che hanno necessità di una soluzione transazionale: gli elementi vincenti sono la rispondenza del candidato a un profilo ideale principalmente rappresentato da esperienze e competenze funzionali maturate. Qui indubbiamente la ricchezza di informazioni contenute nel web può aiutare a impostare la ricerca. Dall’altro, ci sono bisogni di aziende che necessitano di una soluzione sempre più consulenziale: non solo esperienze e competenze funzionali ma anche comportamenti e skill manageriali, potenziale di crescita, livello di fit del candidato rispetto al team e alla cultura dell’azienda, inserimento del candidato sin da subito nei piani di successione dell’azienda, caratteristiche del profilo e della personalità del candidato, la sua identità e motivazione, la sua capacità di arricchire il livello di diversità e di efficacia del team e dell’azienda… In questo caso il valore della consulenza dell’executive search firm sta nell’individuare insieme al cliente una soluzione che tenga conto di una valutazione molto più approfondita, di un assessment in ottica di sviluppo arricchito con un’analisi del potenziale ed elementi a supporto dell’integrazione efficace del candidato nel team e nell’azienda.

Il periodo che stiamo vivendo aggiunge altre importanti sfumature: basti pensare a quanto sia necessario per le aziende nei prossimi mesi ricercare executive che siano generatori di energia e positività, oltre che di performance, così come leader curiosi che siano in grado – attraverso il coinvolgimento, anche di tipo emotivo – di fare sintesi di quella lateralità e multidisciplinarità oggi necessarie per riscrivere il modello di business che questa nuova fase pandemica e post pandemica richiedono. Il termine meritocrazia si espande per includere questi nuovi elementi.

L’emergenza Covid ha accentuato o eliminato certe tendenze? Quanto è stata importante la diversificazione dei team?

Riccardo Rossini – Oggi abbiamo preso coscienza del fatto che tutto ciò che fino ad ora avevamo pianificato non lo è più. Ci siamo resi conto che è necessaria più capacità di confronto e che niente può essere considerato in maniera deterministica. D’ora in poi ci sarà bisogno di manager più flessibili, in grado di agire in un mercato sempre più instabile. Al contempo sappiamo – visto che nessuno in questa situazione è stato (o sarà) in grado di dare risposte da solo – che le risposte arriveranno sempre più non da singoli individui ma da team, il più possibile diversificati. I nuovi leader dovranno ascoltare di più, sentire punti di vista diversi, portare al tavolo approcci e competenze di vario tipo e questo sarà un fattore determinante per incrementare la solidità di un comitato esecutivo: contro la fragilità delle organizzazioni occorrerà mettere insieme manager competenti ma che, soprattutto, sappiano lavorare bene assieme.

In questo senso si avverte in modo più evidente il cambiamento in professioni come la nostra, un cambiamento che era già iniziato, ma che si è accelerato in questa fase: oggi ci sentiamo consulenti a supporto dello sviluppo di una leadership più diffusa, nei quale ai team è richiesto di apportare un valore maggiore della semplice somma dei componenti. Un altro aspetto importante – emerso con più forza durante questa emergenza – sta nel fatto che, a fronte della crescente complessità dei mercati, i manager non possono più continuare ad agire seguendo vecchi “copioni” consolidati.

Sarà sempre più importante che siano in grado di valorizzare se stessi in maniera più completa, facendo leva su ciascuno dei quattro archetipi di riferimento che ognuno ha dentro di sè: manager pensatore, guerriero, dreamer e lover. L’essere pensatore e guerriero – il modello di approccio più diffuso oggi a livello di executive – è ciò che spinge a portare a casa un risultato, lavorando su registri razionali; ma riuscire a toccare certe leve interiori delle persone è tipico delle altre due modalità di espressione del manager, più attuali, più vincenti con le nuove generazioni, più legate al tema dell’ingaggio. Questa emergenza ci ha costretto a prendere coscienza del fatto che portare a bordo le persone è sempre un fattore critico di successo, ma ancora di più quando i mercati non rispondono. Ciò consentirà di creare nel futuro organizzazioni più umane, resilienti e flessibili. In termini umanistici, possiamo dire che questo è più il tempo di Schopenhauer che di Hegel…

Come è strutturata la vostra società? Credete sia importante, dunque, anche un’impronta umanistica?

Rafaella Mazzoli – La nostra è una partnership privata, con consulenti che sviluppano carriere durature ed esprimono fedeltà alla firm nel lungo termine, aderendo ai suoi valori. Siamo dotati di un’organizzazione, di una modalità di funzionamento e di un sistema premiante che riconosce positivamente la collaborazione interna e premia le relazioni durature con i nostri clienti e i manager. Ciò ci consente di lavorare sull’innovazione, con spirito imprenditoriale e visione di lungo termine. Negli anni ci siamo sempre più evoluti dal focus sull’executive search alla consulenza a tutto tondo sulla leadership: attrazione del talento, integrazione, valutazione e sviluppo individuale e collettivo, succession planning. Per portare questo nuovo approccio sul mercato, è stato necessario un lungo lavoro di costruzione di competenze. Abbiamo innanzitutto investito in percorsi di sviluppo per tutti i nostri consulenti, per ampliare le competenze professionali e per esprimere pienamente noi stessi nella professione, il lato umano e non solo quello professionale. Per farlo, abbiamo ricercato collaborazioni con professionisti internazionali, quali ad esempio Carol Kauffman (fondatrice dell’Institute of Coaching at McLean, Harvard Medical School Affiliate), Robert Kegan (Professore in Adult Learning e Professional Development alla Harvard Graduate School of Education), Mobius Executive Leadership, Michael Watkins (studioso delle transizioni professionali), Linda Hill (Professore di Business Administration alla Harvard Business School e studiosa di innovazione).

La preparazione di ciascuno di noi si rivela importante anche durante questa crisi. Crediamo che un approccio in cui si riconosca la centralità della persona, in cui si generi emotional connection, sia fondamentale. E questo periodo di crisi lo ha dimostrato: per lavorare in modo agile è necessaria fiducia. Certamente diventa sempre più importate la capacità di conoscere e comprendere se stessi, leggere l’ambiente ed evolvere. A livello collettivo, diventa più rilevante la capacità dei leader di rendere la propria organizzazione una learning organization, in grado di imparare e ripensare se stessa.

Come impatta tutto ciò sul Chief HR Officer?

Alessandra Tosi –  Anche per i CHRO è un momento di grande trasformazione: lo avvertivamo prima della crisi e l’emergenza covid ha portato ancor più gli HR a svolgere un ruolo centrale. Sono stati fondamentali nella gestione dell’emergenza, adoperandosi per garantire la sicurezza non solo fisica ma anche psicologica delle persone e promuovendo modalità di lavoro nuove. Ciò ha portato all’ambizione di utilizzare questa occasione per rivedere il proprio ruolo all’interno delle organizzazioni. Se in passato gli HR sono stati i custodi di processi e strutture organizzative, oggi i CHRO hanno l’ambizione di essere “motori” del cambiamento, capaci di pensare ed agire come veri business partner. E il cambiamento, per avvenire, deve riguardare fattori hard e soft. Non basta conoscere i processi, è necessario comprendere a fondo le sfide di business con un approccio quasi consulenziale e con forte orientamento al problem solving. È altresì importante avere una profonda conoscenza della base talenti, capirne il potenziale, così da poter mediare tra le esigenze di sviluppo del singolo e quelle del business. Poi c’è il tema delle tecnologie, che non possono che contribuire a questa sfida del cambiamento: i big data aiutano ad avere una profonda conoscenza della propria organizzazione, ad avere il termometro di come essa pensa e reagisce, attraverso l’adozione di tool di istant messaging o “pulse check”. Sempre più importante sarà lavorare in rete.

Abbiamo organizzato diversi workshop con Hr officer in queste settimane: non si tornerà indietro sul lavoro smart, questa considerazione è unanime; anche quando ritorneremo in ufficio la componente smart sarà sempre più importante, e il ruolo degli HR sarà quello di rendere veramente smart il lavoro a distanza, non solo attraverso strumenti che lo facilitino ma sviluppando modalità e cultura diverse che assicurino il coinvolgimento a favorendo però il wellbeing di individuo ed organizzazione. Gli Hr, anche se non esperti di information technology, dovranno comprendere le potenzialità della digitalizzazione, anche sul fronte dell’efficienza, per individuare quali processi potranno essere robotizzati. Infine, torna il tema della cultura aziendale e del “purpose”: il Chief hr officer deve essere esempio e stimolo per il Leadership team su come motivare diverse generazioni al lavoro, e in particolare millenians, attraverso un approccio più empatico, che vada al cuore delle persone, orientato ad avere un impatto sostenibile, a 360 gradi, sulla più ampia collettività.

Quali sono i nuovi profili ricercati sul mercato?

Fabrizio D’Eredità – Prima di discutere i possibili profili professionali è opportuno analizzare le aree di competenza emergenti: trasformazione continua con il cliente al centro, tecnologia come fattore abilitante e centralità dei dati. Queste aree sono del resto i pilastri delle culture e dei modelli operativi delle società native digitali. Viviamo in un tempo in cui lo scenario può cambiare completamente e rapidamente. L’orizzonte del piano operativo diventa molto più breve e il fulcro è il cliente. Per poter capire cosa cambiare e quando è necessaria la misura dei fenomeni, e mai come in questo periodo abbiamo a disposizione così tante informazioni. I profili emergenti saranno dunque manager in grado di immaginare e sperimentare nuovi business model. Ci aspettiamo una crescita di domanda per profili trasformatori come il Chief Customer Officer, Chief Growth Officer, Chief Data Officer, Chief Innovation Officer, oltre che per gli ormai più tradizionali Chief Transformation and Digital Officer. Profili con il radar sempre acceso, con una mentalità aperta e volta alla sperimentazione, ma con un grande pragmatismo e senso di business.

La difficoltà non è però solo nel trovare una figura con le esperienze giuste, ma soprattutto nel creare le condizioni affinché l’integrazione abbia successo. Non si può ragionare solo in termini di atomi o cellule nuove, ma soprattutto bisogna pensare a organismi coerenti. Quando si apportano cambiamenti in organizzazioni complesse, si spostano equilibri che innescano resistenza e crisi di rigetto. Dalla nostra esperienza per mitigare questi rischi sono necessari tre elementi: chiarezza su dove si vuole andare e sugli obiettivi che si vogliono raggiungere, la disponibilità delle giuste leve per raggiungerli (adeguata autonomia decisionale e risorse umane e finanziare) e infine il “diritto al fallimento”. Il fallimento deve insegnare e non (necessariamente) penalizzare. Stili di leadership più empatici, con capacità di ascolto e che creino fiducia e senso di sicurezza possono sicuramente contribuire alla creazione di contesti più fertili e accoglienti.

Ma chi sono questi trasformatori? Possono essere figure con competenze digitali pure, con approccio fortemente analitico  o con profonde competenze tecnologiche. Ma questo non basta. Insomma, una laurea in ingegneria matematica oppure in informatica non bastano: sono essenziali la capacità di guidare e portare a termine il cambiamento, così come di collaborare e influenzare tutti gli stakeholder interni ed esterni. Quindi alcuni elementi tipici di una cultura umanistica vanno messi al servizio di fondamenta tecnico-scientifiche, ma mantenendo il pragmatismo di un orientamento economico. Per poter arrivare a questa completezza è oggi importante progettare il proprio percorso di carriera modulando l’ampiezza e la profondità delle proprie esperienze e soprattutto avere il coraggio di lasciare al momento giusto eventuali aree di confort.

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