Employability: la cura del talento attraverso l’autoformazione

Tecnologia e conoscenza costituiscono un connubio che sempre più è destinato a riguardare ogni individuo con la sua vita professionale

La necessità di formarsi lungo l’arco della nostra vita è ovviamente una diretta conseguenze del turbolento cambiamento che il mondo del lavoro e dell’economica hanno sviluppato negli ultimi anni.

Il percorso  scolastico tradizionale non è sufficiente per rimanere in questo mercato del lavoro e, se un tempo il fenomeno poteva interessare soprattutto il top management, oggi coinvolge tutte le categorie che devono fronteggiare un mondo del lavoro che è diventato internazionale.

La globalizzazione infatti riguarda anche le risorse umane e non solo le merci, porta con se  lo spostamento delle persone verso i luoghi più favorevoli allo sviluppo dei propri percorsi lavorativi, generando una concorrenza ed un “mercato” dei talenti in progressivo sviluppo.

Come afferma Romano Trabucchi nel suo articolo “L’auotoformazione nell’era della conoscenza”, se un tempo era l’azienda ad occuparsi della formazione del proprio collaboratore di cui stabiliva il percorso, i tempi e il destino, oggi ciò non è più compatibile con il diverso rapporto che si insatura con il luogo di lavoro, dove quasi nessuno è destinato a rimanere per tutta la vita e dove la vita dell’azienda è mediamente inferiore a quella del lavoratore.

La mobilità da un’azienda all’altra è ormai un fatto fisiologico che ha cambiato irreversibilmente il legame con le organizzazioni.  Oggi è l’individuo a doversi preoccupare di coltivare la propria conoscenza e individuare i propri talenti, come ben ci ricorda Alessandro Chelo nel uso ultimo libro “Il coraggio di essere te stesso”.

La ricerca del proprio talento e la cura della propria conoscenza diventano così una nuova opportunità che ci offre un mondo sempre meno stabile, che richiede a ciascuno di noi di cimentarsi in lavori diversi, che solo una continua ricerca e formazione renderanno espliciti a se stessi per essere reinvestiti.

Alle imprese quindi non si chiede più tanto di essere “protetti”, essendo per altro decadute anche le normative che lo imponevano, ma si chiede di garantire la nostra appetibilità sul mercato: l’employability.

Le politiche di welfare stanno cominciando quindi a prevedere benefit o forme non monetarie di retribuzione che soddisfino proprio questo tipo di richiesta, sulla base di survey che intercettano le aspettative dei lavoratori.

Un engagement, quello che ne deriva, che non presuppone una fedeltà “eterna”, ma un impegno che sarà tanto maggiore quanto l’azienda garantirà una cura del talento, delle competenze, volta alla possibilità di essere reimpiegato altrove. Come dice Trabucchi il rapporto di lavoro è destinato a diventare sempre più una “partnership strategica” dove le parti stipulano un patto temporaneo che permane sino a quando gli obiettivi reciproci trovano soddisfazione.

La responsabilità della formazione ricade quindi sul singolo, che si assume l’onere di individuare i propri obiettivi e scegliere gli strumenti per raggiungerli.

La tecnologia di cui ci possiamo avvalere oggi ci permette di farlo indipendentemente dai luoghi in cui troviamo e l’offerta di certo non manca.

Capire a chi affidarsi è l’altra grande sfida che ci attende.

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