Formiamo farfalle per organizzazioni sane

ISMO propone da oltre trent’anni un master che si distingue per unire apprendimento tecnico e crescita personale. Più che un corso, un “percorso di senso”, di consapevolezza e, per molti partecipanti, di trasformazione. Lo racconta Roberto Ferrari, direttore del Master HR Professione Personale

Roberto Ferrari ISMO

Un percorso formativo completo che offre una visione a 360 gradi sul ruolo strategico della funzione HR nelle organizzazioni contemporanee. Questo, in estremissima sintesi, è quanto propone l’ultratrentennale Master HR di ISMO, Professione Personale: un programma, sempre aggiornato e orientato al cambiamento, che unisce contenuti attuali, strumenti operativi efficaci e un dialogo diretto con i contesti aziendali da un lato e con i docenti dall’altro, il tutto erogato con modalità “miste” dall’online all’onsite, ai retrat. Ne abbiamo parlato con Roberto Ferrari, direttore del master.

Il vostro Master HR non è descritto come un semplice corso, ma come un “percorso di sviluppo di senso”. In che modo questa filosofia si traduce concretamente nella didattica e nell’esperienza dei partecipanti?

Per prima cosa noi, al contrario di altri master e altre realtà, non chiamiamo chi frequenta il master “allievi”, ma “partecipanti” e questo per un significato pratico, perché già dalla prima giornata invitiamo le persone a dire la propria, a osare ed essere protagonisti: il perimetro formativo è un perimetro protetto ed esprimere la propria opinione vuol dire essere parte di un team portando la propria visione delle cose (esperienza).

Noi, dalla tutor alla coordinatrice, ai trainer e ai testimoni, cerchiamo di far emergere anche le persone più timide: ci deve essere spazio di dialogo e confronto fin dal primo giorno.

A tal proposito, ricordo un ingegnere gestionale che aveva fatto un’obiezione alla mia modalità di coinvolgimento sin dal primo giorno dicendomi che io avrei dovuto dirgli tutto quello che lui avrebbe dovuto sapere; gli ho risposto tranquillizzandolo che il passaggio di conoscenze ci sarebbe stato, ma lui avrebbe dovuto sentire al contempo la responsabilità di essere un soggetto attivo. E proprio per favorire questo processo disponiamo la classe a ferro di cavallo e non a teatro. Cerchiamo di andare oltre il contenuto: bisogna conoscere l’Abc dei processi, entrare sui temi correnti di benessere e cura delle persone, ma cerchiamo di evitare l’approccio mnemonico: abbiamo davanti delle persone, prima che dei futuri HR.

Parlate di trasformazione personale come parte integrante del processo formativo. Quali strumenti o attività utilizzate per facilitare questa evoluzione nei partecipanti?

La trasformazione è un concetto che viene da un approccio internazionale che ISMO ha avuto nella storia, dalla trasformation (dal francese, ispirandosi a Lapassade, ma anche all’anglosassone della scuola di Palo Alto) e la intendiamo come evoluzione personale: digital transformation, change management, processi che richiedono professionisti HR capaci di dialogare con management, sindacati e stakeholder senza essere subalterni, ma sapendo generare una relazione paritaria.

Per un junior è complicato perché è abituato a essere subalterno ai professori; noi dobbiamo evolvere come persone e come professionisti. Noi per sviluppare sensibilità e competenze di lavoro in team, dobbiamo sviluppare relazioni interpersonali e leadership (non autorità). La capacità evolutiva la sviluppiamo nel master attraverso due laboratori, “di sviluppo delle capacità relazionali e di leadership” (le persone non ascoltano una lezione ma esercitano la propria leadership e apprendono dall’esperienza; è residenziale, in una sede terza: questo aiuta a evadere dalla quotidianità e dalle relazioni day by day) e “laboratorio di in-tessere” che aiuta le persone a gestire le relazioni digital e virtual che incontrano con notevole frequenza e problematicità.

In un contesto in continua trasformazione, il Master sembra puntare molto sulla consapevolezza e sull’autenticità del ruolo HR. Quali sono le competenze “invisibili” che secondo voi oggi fanno davvero la differenza in questo mestiere?

Lavoriamo sulla consapevolezza e sull’autenticità del ruolo HR. Vedo una eccessiva propensione della figura HR a passare ore della giornata davanti a uno schermo: se il nostre HR passa il tempo davanti al computer e poi arriva un dipendente e disturba, non va bene.

Deve essere capace di lavorare su una piattaforma di e-learning, fare il coordinamento del performance management, ma prima di tutto deve essere in grado di ascoltare. Cura, rispetto, caring, saper gestire con il giusto modo anche momenti e situazioni spiacevoli (come dire a un candidato che è stata scelta un’ altra persona o mettere in campo un provvedimento disciplinare): se uno svolge bene il proprio ruolo HR, riesce a essere il terzo polo tra manager e persona, a stare sopra le parti e non fuori. 

Per questo sono fondamentali empatia, soft skill, un approccio adulto (anche saper dire di no) e una relazione consulenziale. La cosa più importante rimane saper parlare con le persone.

A 32 anni dalla sua nascita, come si è evoluto il Master per rispondere alle nuove sfide del lavoro, come la convivenza intergenerazionale e l’impatto della tecnologia nelle relazioni?

Dal 1992 a oggi abbiamo rivisto numerosi dettagli, dall’impatto generazionale intergenerazionale, che oggi è complesso e complicato, con cinque generazioni al lavoro, con il rischio di conflitti, isolamento e disinteresse: chiediamo che l’HR sia attento a questo e sviluppi progetti di reverse mentoring, per esempio su aspetti digital e lingua inglese. 

È importante lavorare sulle tematiche che dividono, lavorare per il benessere, per relazioni positive e anche se c’è il senso di rischio, ci vuole coraggio per i nuovi approcci. Abbiamo poi introdotto diverse innovazioni: il Laboratorio In-tessere è nato con il Covid (dove si dovevano gestire condizioni inaspettate e imprevedibili: isolamento, acquiescenza, chi non voleva tornare in ufficio, new way of working, ecc.).

 L’organizzazione sindacale è cambiata (negli anni 90 c’èra un clima conflittuale, mentre negli ultimi decenni le relazioni sono diventate più generative, lasciando spazio negoziale e al social dialogue). Abbiamo dato maggior spazio alla tecnologia, prevedendo due giornate sull’HR digital perché l’HR più di altre funzioni è restio alle innovazioni e dobbiamo fare i conti con una sensibilità non così elevata sul digital, anche se la tecnologia è fondamentale, ma per l’HR deve essere complementare allo human transformation.

Nel vostro comunicato si parla spesso di “presenza generativa” e non di semplice “funzione HR”. Cosa si intende esattamente con questa espressione e come viene coltivata durante il percorso?

Da direttore, il primo giorno del master dico che “in molti affermano che fare l’HR è un lavoro difficile, io dissento: il lavoro difficile è fare un intervento a cuore aperto. Nel mondo l’HR deve cercare personale, creare condizioni per la formazione, valutare un buon compenso per ognuno, ecc.: il master vi darà una mappa con sistemi e strumenti che danno garanzia di buon risultato”. 

Il tema è che siamo in un periodo di incertezza e disequilibrio; quindi, è molto impegnativo il ruolo HR: bisogna sviluppare cura, benessere, progettualità e servono proattività, coraggio, capacità di proporre alla committenza e alla governance innovazioni e azioni. Bisogna essere protagonisti della vita aziendale senza paura: è una specificità che può essere allenata e sviluppata. L’obbedienza da sola non basta: se il direttore ti dice “fai”, tu devi riflettere e se non sei d’accordo cercare il dialogo. Coltiviamo la speranza.

Cosa direbbe oggi a un giovane professionista delle risorse umane che è alla ricerca di competenze tecniche immediate e magari vede con sospetto un approccio più introspettivo come quello del vostro Master?

Gli direi: hai ragione, le tecnicalità sono importanti (conoscenza e sensibilità su processi e strumenti) se però cerchi concretezza, da direttore ti dico che non c’è nulla di più concreto di una buona idea, di praticare valori come equità, cura, solidarietà, rispetto, ascolto, dialogo. Poi abbiamo sessioni pratiche nelle quali alterneremo lezioni, momenti introduttivi, esercitazioni, filmati, casi, testimonianze.

In un mondo che chiede risposte rapide, performance continue e soluzioni tecniche, il Master HR di ISMO si prende il lusso – e la responsabilità – di fermarsi per ascoltare, riflettere, trasformare. E in questo tempo sospeso, a metà tra crisalide e farfalla, forma professionisti delle risorse umane capaci di leggere la complessità, abitare il cambiamento e prendersi cura delle persone e delle organizzazioni. Perché, come ci ricorda il direttore, le farfalle non si formano per caso. Serve un luogo, un tempo e una comunità che accompagni il volo.

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