Gender equality, perché essere transgender sul posto di lavoro è ancora una sfida

Il mondo cambia e, grazie all’impegno di attivisti e membri della comunità LGBTQ+, la sensibilizzazione verso le tematiche gender cresce, con un graduale, seppur lento tentativo di integrazione e normalizzazione della fluidità di genere. Tuttavia, la strada da percorrere è ancora lunga. A dimostrarlo sono i dati, nello specifico quelli relativi all’inclusione sul luogo di lavoro. Una ricerca firmata McKinsey, infatti, accende i riflettori su fatti allarmanti: gli adulti transgender hanno il doppio delle possibilità di essere disoccupati rispetto a quelli cis. Questi ultimi, come se non bastasse, guadagnano il 32% in più a parità di qualifiche. Ecco da dove partire per facilitare l’inclusione e la parità sul luogo di lavoro, per policy a beneficio di persone e aziende.

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Nonostante siano in aumento leggi e iniziative volte a favorire l’inclusione dei transgender – ovvero di tutti coloro la cui identità di genere non combacia con le aspettative culturali generali –non solo nella società ma anche – e soprattutto – sul posto di lavoro, più della metà degli intervistati nell’ambito di una ricerca condotta da McKinsey negli Stati Uniti, dichiara di non sentirsi a proprio agio in azienda e di limitare i rapporti interpersonali a quelli meramente lavorativi. A questo disagio si aggiunge un 32% di stipendio in meno rispetto ai cisgender: un gap che, se colmato, potrebbe far aumentare la spesa dei consumatori di circa 12 miliardi di dollari l’anno nei soli Stati Uniti. Interessante anche il dato relativo alla disoccupazione: se i cis in età lavorativa occupati sono l’82%, i transgender che hanno un lavoro sono solo il 73% mentre i transgender con un lavoro part-time sono il 42% in più rispetto ai cis.

A proprio (dis)agio da subito

I disagi iniziano già durante il colloquio conoscitivo, durante il quale il 50% degli intervistati transgender ha dichiarato di non sentirsi a proprio agio e di non aver espresso pienamente il proprio io, ma anzi di aver cercato di celare la propria “non-conformità” di genere.

Dalla parte dell’Hr aziendale che conduce il colloquio, in questo caso, potrebbe essere utile scendere maggiormente nel dettaglio della cultura dell’azienda e dei benefit, per esempio specificando se in ufficio ci sono bagni comuni per i diversi generi o se è previsto un supporto economico in caso di terapia ormonale e operazioni chirurgiche per il cambio di sesso, come avviene per il congelamento degli ovuli per le donne.

Anche la scelta del settore nel quale cercare lavoro non è sempre serena per i transgender: il 59% degli intervistati ha infatti dichiarato di evitare certi ambiti per questioni di sicurezza personale mentre solo il 32% si comporta apertamente con clienti e colleghi senza sentire la necessità di celare la propria diversità – ma solo un terzo non sente minacciata la propria incolumità o anche solo la propria tranquillità emotiva –.

Per il 37% dei transgender intervistati, la differenza sessuale rappresenta una barriera all’avanzamento professionale, mentre il genere rappresenta un ostacolo alla carriera solo per il 19% dei cisgender: non è un caso, infatti, che il 32% dei cisgender intervistati da McKinsey siano manager o senior ma solo il 19% dei transgender.

Che fare?

Si può partire da piccoli accorgimenti per predisporre l’azienda ad accogliere personale transgender, dall’uso dei pronomi neutri nelle comunicazioni di tutti i tipi alla possibilità di inserire nei formulari il proprio nome “preferito” e non per forza quello di battesimo registrato all’anagrafe, via via fino a pubbliche manifestazioni di inclusività da parte dell’azienda – un’idea? Festeggiare la giornata internazionale dei transgender, il 31 marzo, oppure esporre la bandiera arcobaleno –. Anche i benefit, come già accennato, non dovrebbero essere solo family-friendly ma anche trans-friendly e in alcuni casi trans-specific. Un altro ambito nel quale agire è quello del dress code, il cui linguaggio descrittivo – oltre alle opzioni previste – dovrebbe essere il più possibile neutro mentre fondamentale è assicurarsi che manager e leader siano formati per poter intervenire tempestivamente nei casi di comportamenti discriminatori o di aggressioni verbali o fisiche. Un ciclo formativo o di sensibilizzazione dei lavoratori cis nei confronti del mondo trans, infine, potrebbe essere utile per allargare le vedute generali e combattere discriminazioni dannose e spesso frutto di ignoranza e di menti di strette vedute.

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