Gender pay gap, l’8 marzo non è giorno di festa per le donne per lavoro e retribuzioni

La pandemia ha assestato un ulteriore duro colpo alla condizione lavorativa e retributiva delle donne. A dicembre 2020 in 99 mila avevano perso il lavoro.

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Si è combattuto molto per ottenere i diritti, ma forse non abbastanza per difenderli. È questo il contesto in cui si celebra anche quest’anno l’8 marzo, la festa della donna, a un anno dall’inizio di una pandemia terribile che ha colpito duro su tutti, e in particolare sulle donne. Mimose, parole, riconoscimenti formali, ma se si guarda a ciò che è accaduto in ambito lavorativo lungo quest’anno ci si rende immediatamente conto di quanta strada ci sia ancora da fare. A maggior ragione se si considera che con la pandemia si è tornati indietro di circa quattro anni, sul fronte del lavoro.

La rilevazione Istat sul mese di dicembre 2020 è molto chiara: se a dicembre hanno perso il lavoro 101 mila persone, di queste 99 mila sono donne, appena duemila uomini.

Il rapporto realizzato dalla Commissione europea Equal pay? evidenzia che le donne guadagnano il 14,1% in meno all’ora in media in Europa; in altre parole, lavorano gratuitamente due mesi in più degli uomini. È curioso anche notare che, nei paesi in cui l’occupazione femminile è più bassa, è più basso in media anche il divario. È, invece, più pronunciato in quei paesi in cui l’occupazione delle donne è concentrata prevalentemente in alcuni settori o dove sono prevalentemente impiegate part-time. Dati impressionanti, a cui quotidianamente si presta troppa poca attenzione, soprattutto se consideriamo che la pandemia li ha aggravati ulteriormente, riversando soprattutto sulle spalle delle donne la cura di minori e anziani.

Lo studio europeo, inoltre, mostra che – nonostante si stia facendo molto per ridurre ed eliminare questo gap – negli ultimi due anni la situazione è migliorata in media solo di due punti percentuali. Mentre il lavoro extra e non retribuito resta una fetta importante dell’occupazione femminile.

Cosa c’è dietro il gender pay gap?

Equal pay? lo spiega chiaramente: «Le donne si prendono più tempo libero dal lavoro per prendersi cura degli altri. Questo è il motivo per cui l’UE ha adottato la direttiva sull’equilibrio tra lavoro e vita privata – si legge nello studio – In questa direttiva abbiamo introdotto dieci giorni di congedo di paternità retribuito e 2 mesi di congedo parentale retribuito non trasferibile per ciascuno dei genitori, promuovendo una più equa condivisione delle responsabilità di custodia dei bambini».

Per ciò che riguarda l’Italia, l’Istat ha redatto al riguardo anche una memoria scritta, come contributo ai lavori della Commissione relativi all’esame dell’Atto Comunitario COM(2020) 682, contenente una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio per istituire un salario minimo garantito. L’Italia è uno dei paesi dell’Unione che non presentano un salario minimo legale, poiché la retribuzione minima è stabilita dai contratti collettivi nazionali. Ma è in corso da tempo un dibattito per una sua introduzione, con l’obiettivo di offrire una tutela per quelle categorie di lavoratori che sono escluse da questa opportunità.

Anche la Caritas, nel suo rapporto di inizio anno, ha sottolineato quanto il Covid e il lockdown abbiano impattato sul lavoro delle donne, oltre che su altri aspetti cruciali della loro vita, visto che anche le violenze domestiche sono molto aumentate.

Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), dal canto suo, segnala che l’emergenza sanitaria ha cancellato quasi l’80% dell’occupazione femminile creata tra il 2008 e il 2019. «Già prima della pandemia – sostiene l’Associazione – la situazione di svantaggio dell’occupazione femminile nel nostro Paese era in larga parte prevalente al Sud. Su questa situazione già critica si è abbattuta nella prima parte dell’anno l’emergenza sanitaria, che ha cancellato in un trimestre quasi l’80% dell’occupazione femminile creata tra il 2008 e il 2019, riportando il tasso d’occupazione delle donne a poco più di un punto sopra i livelli del 2008. La scarsa partecipazione femminile è connessa in buona parte all’incapacità delle politiche italiane di welfare e del lavoro di conciliare la vita lavorativa a quella familiare: il basso tasso di occupazione femminile è in buona parte ascrivibile allo scarso sviluppo dei servizi sociali».

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