Gender pay gap, la startup Idem progetta uno strumento per valutarlo, certificarlo e rimuoverlo

L’Italia è il peggiore paese d’Europa per equità di genere dopo la Grecia, secondo il World Economic Forum.

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L’Italia occupa il 117esimo posto tra 153 per partecipazione alle opportunità economiche delle donne, ed è anche il peggiore paese dell’Europa occidentale per equità di genere, dopo la Grecia.

È quanto riferisce il Global gender gap report del World Economic Forum, da cui si comprende quanto l’Italia sia distante dalla parità di genere. Inoltre, anche l’indicatore della parità salariale colloca il nostro Paese al 125esimo posto, per ciò che riguarda in generale tutte le professioni. Per questo nel settembre 2019 il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa ha condannato l’Italia, colpevole di non effettuare un monitoraggio sistematico della disparità salariale, violando il diritto delle lavoratrici alla trasparenza retributiva.

Ed ecco che, proprio lo scorso novembre, la startup Idem, legata all’Università di Modena e Reggio, ha lanciato un progetto innovativo teso a analizzare, valutare e certificare la parità di genere nei luoghi di lavoro, facendo leva sia su un approccio data driven, sia sull’aspetto culturale. Perché è fatto ormai assodato che una notevole arretratezza culturale stia alla base di questa situazione, che deve essere superata. Come fa notare Alessandro Fiorelli, ceo di Job Pricing, il lavoro di cura familiare caricato sulle donne e – probabilmente – anche una certa loro propensione verso gli studi umanistici, sono alcune delle cause che incrementano il divario, sia nel raggiungimento di alcuni ruoli professionali, sia nella retribuzione.

Il progetto di Idem

Idem – insieme al gruppo di ricercatori guidati dalla professoressa Tindara Addabbo – sostiene che giochi un ruolo fondamentale anche la scarsa consapevolezza dei datori di lavoro italiani, che spesso non sono davvero a conoscenza del fenomeno e sono all’oscuro dei benefici che un’inversione di tendenza porterebbe. A partire da questo presupposto, la startup ha dato avvio al suo progetto, finalizzato allo sviluppo di uno strumento che misuri e certifichi la gender equality nei luoghi di lavoro. Secondo la professoressa Addabbo, infatti, «è necessario un approccio interdisciplinare per cogliere le diverse determinanti che generano diseguaglianze di genere dentro le imprese. Diseguaglianze che, oltre a essere non accettabili perché ingiuste, producono anche inefficienze nel sistema impresa» – continua la founder di Idem. «Il sistema che proponiamo aiuta a fornire a chi dirige l’impresa un quadro articolato della reale situazione nelle organizzazioni. Poiché in azienda non viene misurato, il gender gap tende a essere troppo spesso sottovalutato, fino a “non esistere”, indebolendo in questo modo la capacità di cogliere il grande potenziale della diversità anche per lo sviluppo del business. Ed è appunto a questa lacuna che vogliamo rispondere con il nostro modello di valutazione e certificazione della gender equality».

Obiettivo e sfida del progetto di Idem quello di fornire alle aziende uno strumento che sia al contempo rigoroso dal punto di vista scientifico, ma anche di facile utilizzo. Nella pratica consiste in un processo della durata di tre settimane che si avvia con un audit on line, necessario a ottenere dati e informazioni quantitative e qualitative di natura amministrativa e gestionale che verranno poi analizzati in modo da costruire un framework di riferimento che identifichi punti su cui intervenire e migliorare.

Gli effetti della pandemia

La pandemia ha notevolmente acuito la disparità di genere. Ed è per questo motivo che il premier Giuseppe Conte ha più volte sottolineato che le risorse in arrivo dall’Europa a sostegno dei paesi nel post pandemia dovranno mettere le donne e il loro lavoro al centro dell’attenzione. “La debole dinamica demografica e della natalità che il paese registra – ha specificato Conte – costituisce una dimensione prioritaria di intervento all’interno del piano: intendiamo promuovere l’occupazione femminile anche tramite agevolazioni per le donne e le madri lavoratrici, definire un assegno unico universale per ogni figlio a carico, in raccordo con una più organica riforma fiscale, potenziare l’accesso ai servizi per la prima infanzia favorendone in particolare il riequilibrio territoriale”.

Il punto di vista di Job Pricing

«I progressi limitati o nulli che anche noi abbiamo rilevato anno dopo anno con il nostro Osservatorio, si possono spiegare in buona parte anche da questo punto di vista – fa sapere Alessandro Fiorelli, ceo di Job Pricing –  In proposito, le vicende della Legge Golfo-Mosca sulle quote rosa nelle società quotate in Borsa Italiana sono un esempio molto esplicativo: quella che doveva essere una norma pensata come un come volano per tutto il mercato del lavoro, che avrebbe accelerato il percorso verso la parità, non lo è stata nei termini auspicati; i risultati raggiunti nelle società quotate sono stati quelli minimi previsti dalla legge, il livello di parità di genere negli ultimi 10 anni nel complesso delle imprese italiane è rimasto più o meno lo stesso e, alla fine, il legislatore si è visto costretto ad una proroga di quello che, in origine, doveva essere un provvedimento provvisorio». Fiorelli fa poi notare come «in un noto paper del 2018, McKinsey ha messo in evidenza una correlazione positiva fra valorizzazione delle differenze di genere, profittabilità e creazione di valore». Questo perché la diversità mette le aziende in una condizione di maggiore attrazione di talenti.

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