
Generazione Z, lavoro e soft skill: come migliorare il recruiting dei giovani talenti
La Generazione Z sta entrando con decisione nel mercato del lavoro. Con il suo arrivo, cambiano le regole del gioco: non solo per la familiarità con il digitale, ma per la nuova visione del mondo e del lavoro che porta con sé. Valori come autenticità, sostenibilità, benessere e realizzazione personale stanno ridefinendo ciò che conta davvero in una carriera.

Le aziende che vogliono attrarre (e trattenere) i talenti della Gen Z devono ripensare i processi di selezione, i modelli organizzativi e i sistemi di sviluppo. E, al centro di questa trasformazione, ci sono le soft skill: tra le principali, flessibilità, intelligenza emotiva, pensiero critico, capacità relazionale.
Un mindset nuovo, una visione più ampia del lavoro
Secondo Chiara Re Fraschini, HR Partner presso Università Bocconi, “la Gen Z è una generazione digitale, abituata a feedback immediati e a esperienze personalizzate che ha una prospettiva molto concreta e pratica sul futuro. Gli strumenti psicometrici di PerformanSe si integrano perfettamente in questo scenario, offrendo un approccio interattivo e data-driven, che parla il loro linguaggio”.
Giovanni Rigon, coordinatore della Commissione Orientamento e Placement dei Collegi di Merito, sottolinea che “siamo di fronte a una generazione che porterà i propri paradigmi all’interno del mercato del lavoro. Paradigmi molto diversi da quelli delle generazioni precedenti. Per la Gen Z, la realizzazione personale e professionale è centrale. Il lavoro non è più solo contratto e retribuzione, ma senso, significato, impatto.”
Il valore delle soft skill
Che si tratti di affrontare un colloquio, entrare in un nuovo team o costruire una carriera, le competenze trasversali rappresentano un vantaggio competitivo fondamentale per i giovani.
“Le competenze tecniche invecchiano velocemente: in uno-due anni possono perdere rilevanza” spiega Rigon.
“Servono flessibilità, adattamento, pensiero critico, intelligenza emotiva: tutte skill che l’Intelligenza Artificiale difficilmente potrà replicare. Sono più difficili da acquisire, richiedono tempo, formazione e contesti adeguati”, aggiunge.
Ecco perché mappare e comprendere le soft skill, già in fase di selezione, è un’azione strategica per ogni organizzazione che investe sui giovani talenti.
Chiara Re lo conferma: “Strumenti di assessment avanzati ci aiutano a ottenere un quadro chiaro delle attitudini e delle motivazioni dei candidati. Questo permette decisioni più consapevoli e predittive, soprattutto quando i profili sono simili in termini di background”.
Come attrarre e selezionare i talenti della Gen Z?
La Gen Z cerca aziende in grado di valorizzare le persone nella loro complessità, vuole essere ascoltata, coinvolta, riconosciuta. E apprezza fortemente ambienti che favoriscono la crescita, la personalizzazione e l’equilibrio tra vita e lavoro.
Ecco alcune buone pratiche per attrarre (e comprendere) meglio i giovani candidati:
- valorizza le motivazioni personali: metti al centro l’individuo, non solo le competenze tecniche.
- offri esperienze personalizzate e feedback strutturati: la Gen Z si aspetta attenzione e strumenti evoluti.
- integra strumenti di valutazione affidabili e human-centered: un tool come Echo permette di leggere in profondità le soft skill e di avviare un dialogo che va oltre il CV.
- Fai spazio all’autenticità: promuovi ambienti inclusivi, sostenibili e coerenti con i valori dichiarati.
“Mettere l’accento sull’Essere e non solo sul Fare,” osserva Chiara Re, “dimostra ai candidati che l’azienda è davvero interessata alla persona. Questo è un valore imprescindibile per la Gen Z”.
Il recruiting come percorso di scoperta reciproca
Non è più il tempo di una selezione basata solo su titoli ed esperienze.
Come ricorda Rigon: “Le carriere non sono più lineari. Servono strumenti che ci permettano di leggere il potenziale, anche quello che non è immediatamente visibile. Gli strumenti PerformanSe mi aiutano a capire come una competenza viene esercitata dalla persona, non solo se c’è o non c’è. È un cambio di prospettiva potente”.
Anche all’interno delle università e dei contesti educativi, cresce la consapevolezza che l’orientamento non si esaurisce nella scelta di un mestiere: è un percorso di crescita e di presa di coscienza del proprio valore. E così dovrebbe funzionare anche all’interno delle aziende.
“Amo vedere gli studenti fiorire,” conclude Giovanni. “Aiutarli a diventare consapevoli di sé e del loro potenziale è la parte più bella del mio lavoro”.
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