La diversity che non c’è

Quanto sono collegate le parole diversity e inclusion? Se vivessimo in un mondo inclusivo, parleremmo ancora di diversity? E cosa succede quando la diversity diventa mainstream?

A cura di Anja Puntari

Nel film di animazione Nimona, diretto da Nick Bruno e Troy Quane, distribuito da Netflix, vediamo, in uno scenario medievale futuristico, il cavaliere Ballister Cuoreardito che viene incriminato ingiustamente per un omicidio che non ha commesso. L’unica persona che lo accoglie e lo aiuta è Nimona, un’adolescente dispettosa e creatura mutaforma che lo stesso guerriero è stato addestrato a distruggere. La storia rende evidente la sofferenza causata dalla solitudine che Nimona vive come conseguenza della sua diversità. Una delle emozioni che accompagna chi si sente escluso è proprio la sensazione di non essere parte di qualcosa, di non essere accettati per come si è: così tra i bambini, così anche nel mondo dei grandi all’interno delle organizzazioni.  

Finlayson

In azienda, il concetto di diversity e inclusion che conosciamo consiste in due parole interdipendenti di cui la prima potrebbe addirittura risultare potenzialmente pericolosa senza la seconda. Questo perché la diversità per sé non porta necessariamente valore se non canalizzata in maniera adeguata all’interno del fare organizzativo. Osservando attentamente il concetto di diversità, ci rendiamo conto che se riuscissimo nell’eccezionale atto di includere il diverso, paradossalmente, il concetto stesso del diverso non esisterebbe più.  

L’atto del clusterizzare qualcosa o qualcuno come diverso parte in primis da una definizione di un territorio dove esiste un qualcosa che possiamo considerare “il non diverso,” oppure l’ordinario, che a noi è familiare. In realtà questo ordinario non è altro che un’espressione di ciò che chi è al potere, che sia la maggioranza o una élite di comando, definisce come norma per com’è adeguato essere, agire, fare all’interno di un contesto sociale. Lo stesso vale anche all’interno delle organizzazioni.  

Per chi, come gli HR, ha il dovere di agire su questo terreno, la sfida è spigolosa e qualsiasi tentativo per far progredire lo stato dell’arte è difficile poiché l’atto dell’inclusione delle diversità già di per sé è un atto che esclude, che va ad identificare qualcuno come diverso. Non poche sono le volte in cui ho potuto testimoniare espressioni di frustrazione durante un programma di gender inclusion dove le partecipanti donne si sono sentite offese per essere incluse nel programma a causa del proprio sesso.  

Il tema invece che il film Nimona tratta con totale nonchalance è la relazione omosessuale tra il cavaliere Ballister e il suo fidanzato Ambrosious Goldenloin ed è qui che c’è la svolta vera dal punto di vista dell’inclusione culturale di un contesto sociale. Il film non parla della sfida di una coppia gay, né di una storia dove il tema principale è la difficoltà dei due di esistere come coppia omosessuale. Il film parla di una coppia che vive delle difficoltà e della sfida che un outsider, in questo caso il cavaliere Ballister Cuoreardito, vive mentre prova a salire la faticosa scalata delle classi sociali.  

Essere categorizzati come coppia gay, così come essere chiamati donna leader, manager afroamericano o un qualsiasi altro label che possiamo dare a qualcuno, esclude perché impedisce di vedere la vera sfida di ruolo che la persona o le persone stanno vivendo.  

Mentre faccio il giro della Finlandia in auto, io e la mia famiglia ci fermiamo in un autogrill locale e io entro nell’outlet di un posto che vende famosi brand di arredamento d’interni. Di fronte a me si apre una tavola con borse, tovaglie e lenzuola con le immagini del provocatorio artista del passato Tom of Finland. Le immagini parlano la lingua di una mascolinità gay esplicita, ma ciò non sconvolge nessuno. Vedere e percepire l’amore tra coppe dello stesso sesso ormai nei Paesi nordici è diventato mainstream e, con essa, il bisogno di inclusione di questo tipo è sparito.  

 

©Foto Anja Puntari 2023 

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