Lavoro agile (da casa), pro e contro in uno studio del centro InContra

Bene lavorare su obiettivi ma importante concentrarsi sulla formazione e sulla demarcazione del confine tra lavoro e vita privata. Un bilancio post Covid.

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Dopo mesi di forzato lavoro da remoto, è tempo di bilanci sui pro e contro di questa esperienza, che ha portato tutto il mondo a doversi confrontare in poco tempo con una modalità organizzativa ancora minoritaria. Il dato più forte è il gradimento dei dipendenti: otto su dieci sono favorevoli a essere giudicati in base al raggiungimento di obiettivi, ma – guardando l’altro lato della medaglia – il 60% degli intervistati ritiene di non aver ottenuto il giusto riconoscimento degli straordinari fatti.

Sono i dati che emergono dall’“Indagine sullo smart working 2020: capire il presente per progettare il futuro”, studio realizzato da InContra su un campione di duemila lavoratori – cui hanno collaborato Cifa, Confals e Fonarcom – per rilevare il grado di diffusione del lavoro agile e la percezione dei lavoratori rispetto a questo modello organizzativo, dopo mesi di lavoro da remoto.

La diffusione e le strumentazioni

Sono soprattutto le piccole-medie imprese ad aver registrato un tasso di attivazione molto superiore al periodo pre-Covid (quasi il doppio) mentre il mancato ricorso al lavoro agile è stato legato nella maggior parte dei casi a una scelta del lavoratore (35%) oppure – in percentuali inferiori – alla mancanza di strumentazioni idonee (30%) o a scelte aziendali (22%).

Da migliorare ancora molto le condizioni di lavoro da remoto: per alcuni, ad esempio, è stato difficile doversi accollare le spese di strumentazioni e collegamenti: solo il 27% delle aziende ha dotato ai propri dipendenti di un pc, il 35% nella pubblica amministrazione, così come appena il 12% ha garantito sistemi di archiviazione dei documenti, il 10% smartphone e il 7% cuffie auricolari. Alcuni altri dati sul fronte delle tecnologie: circa il 10% degli impiegati ha usato whatsapp e altri strumenti di messaggistica istantanea per relazionarsi con i propri responsabili, mentre Zoom e Webex sono stati più utilizzati nel pubblico.

Più meritocrazia, poco coordinamento

Tra i pro dell’home working il panel ha segnalato una maggiore meritocrazia e una forte spinta motivazionale, accompagnata da un gradito senso di responsabilizzazione. Fattori che si sommano a un altro elemento molto apprezzato, quello del risparmio (per trasporti, pranzo, ecc.).

In molti casi, tuttavia, non è stato facile il coordinamento con i superiori e con i team, così come non sempre è stata agile e veloce la condivisione di informazioni: il 35% degli intervistati ha riferito di aver registrato un’efficacia inferiore nelle relazioni, per lo più frutto di una mancanza di fiducia nei confronti dell’azienda e di chi avrebbe dovuto valutare il proprio lavoro.

Infine, pur riconoscendo allo smart working un buon potenziale per il work-life balance, il 70% delle persone ha riferito una grande difficoltà nel separare il lavoro dalla vita privata, provando la sensazione di dover essere sempre connessi e reperibili.

Lo studio conferma, quindi, come questo sia uno degli aspetti sui quali è necessaria l’attenzione maggiore. “Occorre lavorare molto sulla regolamentazione dello smart working – ha chiosato il segretario generale di Confsal, Angelo Raffaele Margiotta – per garantire ai lavoratori il massimo di benessere e sicurezza, con particolare attenzione al diritto alla disconnessione, per una giusta separazione tra tempi di vita e lavoro”.

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