Lo smart working fa bene all’economia

A godere dei benefici del lavoro flessibile non è solo il lavoratore, ma l’intero Pil mondiale. Lo studio The Added Value of Flexible Working commissionato dalla società Regus

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Dieci trilioni di dollari di valore aggiunto al Pil globale entro il 2030, a cui si aggiungono 3,53 miliardi di ore risparmiate per trasferimenti e spostamenti. Sono i numeri dell’impatto che lo smart working avrà sull’economia globale nei prossimi anni. I conti li hanno fatti i ricercatori del Development Economics guidati dall’economista Steve Lucas, in uno studio commissionato da Regus, società internazionale leader nella fornitura di spazi di lavoro, che ha analizzato gli effetti del lavoro flessibile su 16 Paesi.

Dipendenti soddisfatti e produttivi

Molti dei benefici deI lavoro agile li conosciamo già: secondo l’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano la possibilità di lavorare da remoto contribuisce ad aumentare la produttività di circa il 15%, riduce il tasso di assenteismo di circa il 20% e ha effetti positivi sulla motivazione dei dipendenti per quanto riguarda la soddisfazione sul lavoro (32%) e la qualità del lavoro svolto (31%). Altri effetti positivi riguardano la riduzione dei costi di gestione degli spazi fisici in termini di affitti, utenze e manutenzioni.

Ma il lavoro agile non è solo un semplice benefit per il lavoratore o un’occasione per le imprese: stando alla ricerca commissionata da Regus costituisce un’opportunità per tutto il mondo produttivo, che porterebbe all’economia mondiale qualcosa come 10 trilioni di dollari nei prossimi 11 anni, più del Prodotti interno lordo attuale di Giappone e Germania messi insieme.

Tra l’8 e il 13% dei lavoratori, Usa in testa

Secondo le stime, nella maggior parte delle economie sviluppate le pratiche di lavoro flessibile interesseranno una percentuale di impiegati tra l’8% e il 13%, portando come conseguenza una riduzione dei costi per le imprese e un incremento della produttività.

Le nuove modalità di lavoro saranno adottate principalmente da Stati Uniti (13%) e Paesi Bassi (12,3%), ma a beneficiare degli effetti in termini assoluti saranno Usa e Cina, dove il valore aggiunto generato dallo smart working ammonterà rispettivamente a 4,5 trilioni di dollari – più del 20% del Pil nazionale – e a 1,4 trilioni di dollari. Quanto all’Europa, in testa c’è la Germania con un valore aggiunto lordo di 720,6 miliardi di dollari all’anno, seguita da Regno Unito (553,2 miliardi) e Francia (443).

3,53 miliardi di ore risparmiate

Altro fattore analizzato è il risparmio del tempo impiegato per raggiungere il luogo di lavoro. A conti fatti la possibilità di lavorare da remoto consentirà di tagliare 3,53 miliardi di ore in tutto il globo, l’equivalente del tempo trascorso al lavoro ogni anno da 2,01 miliardi di persone.

I lavoratori cinesi, per entrare nel dettaglio, recupereranno due ore ciascuno, mentre quelli statunitensi guadagneranno quasi un giorno intero da dedicare al tempo libero.

In Italia mezzo milione di smart worker

E in Italia? Secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nel nostro paese i lavoratori agili sono 480.000, pari al 12,6% del totale degli occupati che, in base alla tipologia di attività del loro lavoro, potrebbero scegliere questa modalità di lavoro. Si tratta prevalentemente di lavoratori di genere maschile (76%), appartenenti alla Generazione X (il 50% ha fra i 38 e i 58 anni di età) e residenti del Nord-Ovest del Paese (48%). Oltre una grande azienda su due (il 56%) ha adottato strumenti di lavoro flessibile.

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