Otto marzo e nulla da festeggiare: la strada per la parità di genere è ancora lunga.

La strada per la parità di genere in Italia è ancora lunga, basti pensare che – come già illustrato da HR Link negli scorsi mesi – oltre un’azienda su tre nega o banalizza le politiche sulla diversità. Leggendo gli ultimi dati Istat il panorama non cambia. Ma come si può realmente combattere il gender gap nel mercato del lavoro? Quali possono essere le soluzioni? Le quote rosa della legge Golfo-Mosca del 2012 non bastano, serve uno sforzo sinergico tra pubblico e privato. Oltre a politiche aziendali innovative e nuovi metodi di selezione come il blind recruitment.

8marzo

Sono più istruite e meno occupate degli uomini, ma questo vantaggio non paga, e non solo dal punto di vista economico, ma anche di gratificazione e benessere. Le donne, infatti – sebbene in Italia il 65,3% abbia almeno un diploma contro il 60,1% degli uomini e le laureate arrivino al 23,1% contro il 16,8% tra gli uomini –  non vedono trasformarsi in un vantaggio in ambito lavorativo questo primato, dato che il tasso di occupazione femminile è molto più basso di quello maschile (55,7% contro 75,8%): unica nota positiva, il fatto che il divario di genere si riduca al crescere del livello di istruzione (31,7 punti per i titoli bassi, 20,3 per i medi e 7,3 punti per gli alti).

Parallelamente, aumentando i livelli di istruzione, i tassi di occupazione femminili crescono di più di quelli maschili: 19 punti tra laureate e diplomate (6 punti tra gli uomini) e 25,5 punti tra diplomate e donne con al massimo la licenza media inferiore (14,1 tra gli uomini).

Questa la fotografia scattata dall’Istat lo scorso ottobre e, a gennaio 2023, a fronte di un aumento di occupati e disoccupati e di una diminuzione generale degli inattivi, l’occupazione femminile cresce dello 0,2% – una percentuale che corrisponde a 35mila unità – così come per chi ha più di 35 anni.

In questo contesto il gender gap purtroppo resiste e non solo sul piano della retribuzione. Uno studio dell’Eurostat evidenzia anche che il divario retributivo di genere è generalmente molto più basso per i nuovi entrati nel mercato del lavoro e tende ad aumentare con l’età: in alcuni casi questo potrebbe aumentare a causa delle interruzioni di carriera che le donne possono subire durante la loro vita lavorativa.

Le aziende devono fare i conti con questa situazione e anche con ciò che, ad esempio, uno studio di Manpower group ha recentemente individuato, ovvero che la generazione Z, ovvero i nati tra il 1997 e il 2012, nel 2025 rappresenteranno il 25% della forza lavoro e si configurano come persone che pretenderanno molto da propri datori di lavoro in ambito di diritti, in generale per ciò che riguarda diversità e inclusione, ma anche sul fronte dell’impegno al contrasto al cambiamento climatico. Secondo Ilaria Maria Dondi, direttrice responsabile della rivista Robe da donne, la partita si gioca in più direzioni. Scrive: «Sul piatto c’è la possibilità delle donne di avere una vita libera da dipendenza (e violenza) economica, povertà in età pensionale e la possibilità di autodeterminarsi».

Selezione, percorso di carriera, permanenza nel mondo del lavoro sono i tre step sui quali intervenire. Nella fase selettiva «è dimostrato che, a parità di competenze, le aziende tendono non solo a pagare meno le donne, ma a preferire direttamente candidati maschi (anche in casi in cui questi ultimi siamo meno profilati di una candidata arrivata alla fase finale del processo). Il motivo principale, va da sé, è la potenzialità riproduttiva della donna». Ecco che introdurre la diversity nei team di selezione, più della legge Golfo-Mosca, servirebbe allo scopo di ovviare a questo bias. Il blind recruiting è un’altra buona arma: come è accaduto in seno alla New York Philharmonic Orchestra, che per buona parte della sua storia secolare è stata composta da soli uomini, è arrivata nel 2022 ad avere l’attuale formazione a maggioranza femminile (45 donne e 44 uomini) grazie all’introduzione delle blind audition. Infine, va da sé che dovrebbe essere imposto il divieto del divario salariale.

Per ciò che riguarda il secondo step, ovvero la fase del proseguimento di carriera, occorre trasparenza salariale negli avanzamenti di carriera e l’istituzione di audit interni che monitorino ciò che accade.

Infine, rispetto alla questione della permanenza del mondo del lavoro nel 2020 più di 30mila donne con figli hanno rassegnato le dimissioni. Questo dovuto al gender gap rispetto ai fatti della genitorialità ancora enorme nel nostro Paese.

Ecco, dunque, che l’idea della divisione di ruoli femmine=famiglia/ cura, maschi=lavoro/ società/ governo, proposta già a suo tempo da Elena Gianini Belotti – recentemente scomparsa – nel suo celebre Dalla parte delle bambine, mostra la sua straordinaria attualità, perfettamente in linea con la Costituzione: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.

Lavoro che dovrebbe essere sostenibile, e affrancarsi dal modello capitalistico di cui si osservano quotidianamente le falle.

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