Referendum 2025: quali possibili impatti su lavoro e imprese?

L’8 e il 9 giugno 2025 gli italiani voteranno su cinque quesiti referendari, quattro dei quali riguardano il mondo del lavoro. Con l’aiuto dell’avvocata Francesca Pittau esploriamo le possibili conseguenze per le aziende e la gestione delle risorse umane

referendum 2025: cosa cambia per aziende e HR

L’8 e il 9 giugno 2025 gli italiani saranno chiamati a esprimersi su cinque quesiti referendari, quattro dei quali riguardano direttamente il mondo del lavoro. Questi quesiti mirano a modificare o abrogare alcune norme introdotte con il Jobs Act. Per imprese e professionisti delle risorse umane, il voto potrebbe segnare un cambio di rotta importante su licenziamenti, contratti, appalti e tutele dei lavoratori. Vediamoli nel dettaglio con l’avvocata Francesca Pittau.

Referendum del 2025: cosa c’è in gioco

I quesiti a cui dovranno rispondere i cittadini votanti chiamati ai seggi l’8 e 9 giugno 2025 toccano alcune tra le norme più discusse degli ultimi anni. Si tratta di cinque referendum abrogativi: uno di questi riguarda la cittadinanza italiana, con la richiesta di ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza regolare utili a richiedere la cittadinanza italiana ed estenderlo anche ai figli minorenni dei richiedenti.

Gli altri quattro quesiti, invece, si concentrano su tematiche strettamente legate al mondo del lavoro:

1. Reintegro nei licenziamenti illegittimi

Il primo quesito, mirato all’abrogazione totale del D.lgs. 23/2015, si concentra sulla possibilità di espandere l’area di applicazione della tutela reintegratoria a favore anche dei lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 nel caso di licenziamento viziato. Sulla base della norma nella sua versione originaria, i lavoratori assunti dopo tale data potevano ottenere nella maggioranza dei casi solo una  indennità economica in caso di licenziamento illegittimo. Con l’abrogazione, si espanderebbe quindi la possibilità di reintegra.

2. Indennità nei licenziamenti nelle piccole imprese

Il secondo quesito mira invece ad abrogare il tetto massimo alle indennità  per coloro che vengono licenziati in modo ingiustificato all’interno delle piccole aziende, quelle che occupano fino a 15 dipendenti. Al momento, in caso di licenziamento illegittimo, i dipendenti possono ricevere indennità pari nel massimo a sei mesi di stipendio. Se le cose dovessero cambiare grazie al referendum, sarà invece un giudice a scegliere l’ammontare dell’indennità.

3. Contratti a termine

Il terzo quesito tocca invece il tema dei contratti a tempo determinato, che oggi possono essere stipulati dal datore di lavoro fino a 12 mesi senza una causale specifica. L’abrogazione risulterebbe nell’obbligo per i datori di lavoro di utilizzare una causale specifica nella stipula di questo tipo di contratti, con limitazione del loro utilizzo.

4. Responsabilità negli appalti

Il quarto quesito referendario propone l’abrogazione di una parte dell’articolo 26, comma 4, del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81. Attualmente, la normativa esclude la responsabilità solidale del committente per gli infortuni subiti dai lavoratori dell’appaltatore o del subappaltatore, quando questi derivano da rischi specifici propri dell’attività dell’appaltatore. Se il referendum venisse approvato, questa esclusione verrebbe eliminata.

Cambiamenti rilevanti per le aziende italiane

Queste modifiche legislative, se approvate, comporterebbero un nuovo equilibrio tra imprese e lavoratori. “Il quesito sull’abrogazione del Jobs Act con riferimento alle tutele dei licenziamenti e quello relativo ai contratti a termine sono destinati ad avere rilevanza per l’organizzazione del lavoro nell’impresa, così come la potenziale esposizione delle piccole imprese ad un incentivo senza limiti determinati dal legislatore nel caso di licenziamento illegittimo” spiega l’avvocata Francesca Pittau.

Come sottolinea l’avvocata, il Jobs Act ha già perso parte della sua portata innovativa per via degli interventi della Corte Costituzionale e delle sentenze degli ultimi anni “Ad oggi, dunque, un ritorno all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori – come riformato dalla Legge Fornero – avrebbe probabilmente un effetto meno dirompente, vista la portata delle modifiche della Corte Costituzionale e, per paradosso, si creerebbero anche delle aree di diminuita tutela come nel caso di licenziamento che segua il superamento del periodo di comporto. Un day after che ci lascerà comunque con un sistema frammentario, in cui sarebbe in ogni caso auspicabile un intervento del legislatore”. Le piccole imprese, che oggi godono di regole più snelle nei licenziamenti, si troverebbero a fronteggiare un contesto giuridico più oneroso e incerto. L’effetto del referendum renderebbe non ulteriormente ritardabile l’intervento del legislatore, restato inerte di fronte a molteplici sollecitazioni della Corte Costituzionale sul tema”.

Un discorso a parte merita il tema del contratto a termine, una questione discussa fin dalla entrata in vigore del D.lgs. 81/2015 e, oggi, ancora decisiva all’interno del mondo del lavoro. “Per effetto dell’abrogazione si tornerebbe al passato e alla necessità di fare sempre ricorso alle causali, con i noti temi di interpretazione delle stesse, non completamente superati neppure con la tipizzazione introdotta dai contratti collettivi” spiega l’avvocata Pittau, aggiungendo: “Questo potrebbe comportare nel breve termine gravi disagi organizzativi per società operanti in settori in cui fisiologicamente si fa più affidamento sui contratti a termine, come ad esempio il retail ed in generale i servizi”.

Infine, l’eventuale modifica della disciplina sugli appalti avrebbe implicazioni significative per i committenti. Con l’abrogazione dell’esclusione dei rischi specifici, “il concetto di solidarietà si allargherebbe, e il committente sarebbe chiamato a fare due diligence ancora più approfondite sull’appaltatore” conclude Pittau. Il rischio, infatti, andrebbe valutato anche con riferimento all’ambito tecnico e organizzativo proprio dell’appaltatore, ampliando la sfera di interesse del committente e introducendo una responsabilità solidale piena.

Gli effetti sulla gestione delle risorse umane

Per le direzioni HR, si apre un fronte complesso: aggiornare i contratti, rivedere le linee guida per i licenziamenti, formare il management e comunicare i cambiamenti all’interno dell’azienda.

L’abolizione della deroga sulla causale per i contratti a termine, in particolare, può avere impatti significativi sulle politiche di assunzione. Potrebbe diventare più difficile e oneroso inserire personale temporaneo, specialmente in settori stagionali o ad alta variabilità della domanda.

“Quanto alla disciplina del licenziamento, sarà certamente necessario rivedere i criteri di valutazione delle casistiche utilizzati negli anni, alla luce di una forza lavoro che, dopo 10 anni, applica sempre più solo il Jobs Act, e, soprattutto, sottoporre a revisione quanto già valutato nelle riorganizzazioni in corso o da attuare in tempi brevi.” Spiega Francesca Pittau.

Anche l’aspetto reputazionale non è da sottovalutare: una gestione più trasparente e tutelante del lavoro può rafforzare l’employee branding, ma solo se accompagnata da coerenza e preparazione interna.

Il quesito sugli appalti apre invece una riflessione più ampia sulla responsabilità d’impresa. Con la responsabilità solidale su tutti i rischi, i datori di lavoro dovranno rafforzare il controllo sulle aziende appaltatrici e sui fornitori. In gioco c’è la tutela dei lavoratori, ma anche la reputazione e la compliance delle organizzazioni.

Una questione che, in prospettiva, potrebbe favorire un maggiore investimento in modelli organizzativi sostenibili e trasparenti, in cui la funzione HR diventa un nodo strategico, non solo operativo.

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