Salario minimo: l’Italia tra eccezione e confronto europeo

Come funziona il salario minimo e la retribuzione in Italia rispetto ad altri Paesi europei? ADAPT fornisce un confronto tra modelli, tutele e differenze pratiche

salari minimi in Italia ed europa

Mentre gran parte d’Europa fissa per legge un salario minimo, l’Italia continua a puntare sulla contrattazione collettiva. Ma è davvero un’alternativa efficace? Negli ultimi anni, il tema del salario minimo ha guadagnato sempre più attenzione a livello europeo, diventando un indicatore chiave delle politiche sociali e del livello di tutela garantito ai lavoratori. 

Un recente approfondimento pubblicato da ADAPT (Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del Lavoro e sulle Relazioni Industriali) dal titolo “Struttura della retribuzione e salario minimo: disciplina italiana e confronto con altri Stati comunitari”, analizza nel dettaglio le caratteristiche del sistema retributivo italiano, che continua a distinguersi per un sistema basato sulla contrattazione collettiva, che non prevede un salario minimo legale, ma che comprende diversi elementi integrativi come mensilità aggiuntive e TFR. Il confronto è con alcuni Paesi europei come Francia, Spagna, Germania e Svezia, offrendo una fotografia utile a chi si occupa di gestione delle risorse umane, relazioni industriali e policy del lavoro. Ma quali sono le differenze tra salario minimo e retribuzione in Italia rispetto ad altri stati europei? Quali sono i vantaggi e quali le criticità?

Il caso italiano: retribuzione definita dalla contrattazione collettiva 

In Italia, a oggi, non esiste un salario minimo legale fissato per legge: la tutela retributiva si basa sulla contrattazione collettiva, che rappresenta il cuore del sistema. I contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL), stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali più rappresentative, stabiliscono soglie minime retributive sulla base dei diversi livelli di inquadramento professionale.

Secondo l’analisi pubblicata da ADAPT nel maggio 2025, il modello italiano garantisce nei principali CCNL una retribuzione oraria lorda che si aggira tra 9 e 11 euro: importo che comprende la retribuzione base di ogni lavoratore, ma anche di elementi aggiuntivi che rendono il sistema particolarmente articolato.

Oltre alla retribuzione mensile, infatti, il sistema italiano prevede altri elementi che integrano il compenso del lavoratore:

  • mensilità aggiuntive: i lavoratori hanno diritto a una o più mensilità extra durante l’anno. La tredicesima mensilità è obbligatoria per legge e corrisponde a uno stipendio aggiuntivo pagato solitamente a dicembre. Alcuni contratti collettivi prevedono anche una quattordicesima mensilità o altre supplementari, erogate in determinati periodi dell’anno o in base a particolari condizioni contrattuali
  • trattamento di fine rapporto (TFR): si tratta di una somma che il lavoratore matura progressivamente durante tutto il periodo di lavoro nell’azienda, calcolata come una quota differita della retribuzione. Questo importo viene erogato al dipendente al termine del rapporto di lavoro, come una sorta di “liquidazione” o incentivo finale, ed è regolato dall’articolo 2120 del Codice Civile.
  • indennità specifiche: alcuni lavoratori possono ricevere ulteriori indennità o compensi aggiuntivi legati al settore di appartenenza, al tipo di contratto o al livello di inquadramento professionale. Anche questi trattamenti sono definiti dalla contrattazione collettiva.

Pur in assenza di un salario minimo stabilito per legge, il sistema italiano appare, nella maggior parte dei casi, in grado di offrire un buon livello di protezione, soprattutto grazie alla copertura garantita dai contratti collettivi. Resta però aperto il tema delle aree scoperte o meno rappresentate, dove il rischio di retribuzioni sotto soglia è più concreto.

Modelli retributivi: il confronto europeo

Lo studio ADAPT propone poi un confronto tra il sistema italiano e quelli di tre Paesi europei – Francia, Spagna e Svezia –  evidenziando approcci molto diversi alla definizione delle retribuzioni minime, alla presenza di mensilità aggiuntive e all’esistenza (o meno) di forme di trattamento di fine rapporto.

Il salario minimo in Francia

In Francia esiste un salario minimo legale (SMIC), aggiornato regolarmente in base all’inflazione e a eventuali aumenti del potere d’acquisto. Attualmente, lo SMIC garantisce una soglia retributiva oraria stabilita per legge. Non sono previste mensilità aggiuntive a livello normativo, ma la contrattazione collettiva può introdurle. È prevista un’indennità di licenziamento, che però non ha un equivalente diretto al TFR italiano.

Spagna con 14 mensilità

Anche in Spagna esiste un salario minimo legale (SMI), aggiornato periodicamente. Una peculiarità del sistema spagnolo è la struttura su 14 mensilità: 12 ordinarie più tredicesima e quattordicesima, di norma distribuite lungo l’anno. Non è previsto un TFR, ma la contrattazione può includere indennità di fine rapporto, variabili a seconda del settore e della durata del periodo lavorativo.

Svezia e welfare aziendale

La Svezia rappresenta un modello opposto: non esiste un salario minimo legale, e la retribuzione è interamente regolata dalla contrattazione collettiva, spesso molto forte e diffusa. Non sono previste mensilità aggiuntive o TFR a livello normativo, ma i contratti collettivi possono garantire indennità specifiche o altre forme di welfare aziendale.

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