Se volete eccellere, fermatevi!

Fare qualcosa è meglio di non fare niente: è sempre vero? E se in alcune situazioni fermarsi, dedicarsi anche per poco a quello che i latini definivano otium fosse l’unica cosa che può portare al successo?

A cura di Anja Puntari

L’artista Francys Alys spinge un enorme cubo di ghiaccio. Il sole brilla in un cielo azzurro e per nove ore l’artista spinge il blocco di ghiaccio per le strade calde di Mexico City. La video documentazione di questa performance ci dimostra l’effort dell’artista davanti alla materia scultorea, il ghiaccio, che letteralmente sparisce durante il suo procedere. Allo spettatore risulta del tutto evidente la scomodità del gesto, lo sforzo della schiena, il caldo e il sudore che cola sulla pelle dell’uomo. Per poi ottenere cosa? Il nulla.

L’artista intitolerà l’opera Paradox of Praxis (Sometimes making something leads to Nothing)[1].

Nell’ironia del gesto artistico si cristallizza un pensiero legittimo anche per il contesto organizzativo: non tutto il nostro fare ha senso, non sempre porta a un risultato, neanche quando ci impegniamo al pieno della nostra potenzialità.

La nostra epoca, indirizzata alla “produttività a tutti i costi”, ci ha portati a vedere tutto in maniera funzionale, in un’ottica di utilità in relazione all’essere occupati: anche il relax, la vacanza, è qualcosa che serve per tornare più carichi e produrre altri risultati. Persino il nobile concetto di ozio, quindi, che per i latini e i greci indicava un felice stato in cui non si è occupati a fare niente, ha assunto una valenza diversa nella mentalità contemporanea.

Se da un lato è sempre bene rimarcare che non tutto, nella vita di un essere umano, deve necessariamente servire a qualcosa e che vada bene non essere sempre produttivi, dall’altro qui vale anche la pena di sottolineare una differenza: l’opera di Francys Alys non parla del fare nulla. Parla del fare che svanisce nel nulla, che è ben diverso. E poiché l’obiettivo, almeno della maggior parte delle organizzazioni, non è semplicemente tenere le persone occupate, ma impegnarle in un’attività che crea valore in termini di output e pregio di mercato, la considerazione che scaturisce dall’opera di Francys Alys è del tutto legittima.

L’affermazione dell’artista sembra essere un vero e proprio punto cieco all’interno delle organizzazioni. Innumerevoli sono le attività, processi, pratiche con cui le persone all’interno delle organizzazioni si impegnano e che forse non servono, oppure si potrebbero fare diversamente.

Ma perchè? Perché tutti i giorni le organizzazioni si perdono in attività inutili che fanno perdere tempo ed energia senza un ritorno dell’investimento?

Per rispondere, non bisogna dimenticare che mettere in discussione lo status quo attuale richiede una gran mole di coraggio. Molto più facile continuare come sempre, senza mai alzare lo sguardo per provare a vedere dove si sta andando, né pensare ad alternative diverse.

I motivi per cui non vogliamo il diverso, il nuovo, sono vari e hanno un carattere sia emotivo che cognitivo. Inventare alternative, costruire un modo diverso del fare richiede l’attivazione di risorse creative, che in tante organizzazioni non sono state ritenute importanti fino ad ora. Il cambiamento richiede poi tanta energia, ma la ritrosia nei confronti del cambiamento ha una natura emotiva: è quella sensazione scomoda di paura, tensione, incertezza che il cambiamento non sia possibile, che ci sia il rischio di fallire. E un numero alto di persone spende una quantità non indifferente di tempo ed energia per evitare queste emozioni scomode. Tendiamo a organizzare la nostra esistenza in modo che non si debbano sentire emozioni di questo tipo.

Ogni azienda, ruolo o persona ha un suo percorso unico di crescita. Ciò che è comune a tutti è che, per attivare un modo diverso del fare, serve vedere e volere il cambiamento. E questo porta alla conclusione che, paradossalmente, per agire con consapevolezza serve fermarsi a contemplare le alternative alla nostra portata. Nella corsa quotidiana spesso questa semplice verità tendiamo a dimenticarla.

Chissà che altri usi poteva avere per quel blocco di ghiaccio che Francys Alys ha spinto in giro per Messico City se semplicemente si fosse fermato a cercare alternative diverse?

 

 

Immagine: Francys Alys, The paradox of praxis – https://www.britannica.com/biography/Francis-Alys

[1] Francys Alys, Paradox of Praxis (Sometimes making something leads to Nothing), 1997

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