Le sfide delle risorse umane tra incompetenze artificiali e inadeguatezza professionale

di Pepe Moder, giornalista e speaker di Radio24 e fondatore di Imaginars, agenzia di innovazione e docente dei corsi sull’Intelligenza Artificiale di Sole 24 ORE Formazione.

Ai

L’intelligenza artificiale sta attraversando il mondo aziendale con una velocità che genera più interrogativi che certezze. Nonostante la retorica entusiastica che caratterizza il dibattito pubblico, i dati della ricerca del MIT e di AltermaAInd dipingono uno scenario più complesso: il tasso di adozione reale dell’AI nelle organizzazioni rimane sorprendentemente basso, con oltre il 70% delle aziende ancora nella fase sperimentale e solo il 6% che dichiara di aver integrato stabilmente queste tecnologie nei processi operativi con successo.

Tra promesse e realtà operativa

La distanza tra aspettative e risultati concreti evidenzia problematiche strutturali nell’approccio aziendale all’intelligenza artificiale. Molte organizzazioni si limitano a implementare proof of concept basati su dati sintetici e processi semplificati, ottenendo risultati che difficilmente si traducono in valore quando applicati alla complessità operativa reale.

Questo fenomeno si manifesta particolarmente nei settori dove l’AI viene percepita come soluzione immediata a problemi complessi. I team di sviluppo che sperimentano con strumenti di programmazione assistita spesso scoprono che la produttività teorica non si materializza quando devono gestire legacy system, vincoli normativi e requisiti di sicurezza specifici dell’ambiente aziendale.

Nel marketing, l’analisi predittiva dei comportamenti dei consumatori può fornire insights interessanti in ambiente controllato, ma fatica a integrarsi con i sistemi CRM esistenti e con la qualità dei dati aziendali reali, spesso frammentati e inconsistenti.

Il gap delle competenze: una sfida sottovalutata

Le ricerche evidenziano una carenza critica di competenze specifiche per l’AI nelle organizzazioni. Non si tratta solo della mancanza di data scientist o sviluppatori specializzati, ma di una comprensione diffusa delle potenzialità e limiti di queste tecnologie. I manager intermedi, chiamati a guidare l’implementazione, spesso mancano della preparazione necessaria per valutare criticamente i risultati degli algoritmi e contestualizzarli rispetto agli obiettivi aziendali.

Questa lacuna genera un paradosso: mentre cresce la pressione per l’adozione dell’AI, diminuisce la capacità di utilizzarla efficacemente. Le organizzazioni investono in tecnologie sofisticate ma non dispongono delle competenze per massimizzarne il potenziale, creando un ciclo di disillusione che rallenta l’innovazione reale.

La formazione aziendale tradizionale si rivela inadeguata per colmare questo divario. I percorsi di upskilling spesso si concentrano su aspetti tecnici superficiali senza sviluppare il pensiero critico necessario per navigare l’incertezza intrinseca dei sistemi AI.

La tentazione della misurazione totale

L’accessibilità apparente dell’intelligenza artificiale nel processare e interpretare dati comportamentali sta generando un potenziale preoccupante: la tentazione di misurare ogni aspetto della vita lavorativa. Comportamenti, intenzioni, desideri dei dipendenti sembrano improvvisamente “facilmente” interpretabili attraverso algoritmi, creando la percezione che tutto possa essere quantificato e ottimizzato.

Questa deriva quantitativa rischia di compromettere libertà e dignità personali sul luogo di lavoro. La capacità dell’AI di analizzare pattern comunicativi, tempi di risposta, interazioni digitali può trasformarsi in strumento di controllo pervasivo che va oltre ogni ragionevole esigenza gestionale. Se proprio vogliamo perseguire questi obiettivi è necessario innanzitutto avere una profonda consapevolezza e – in secundis – le competenze per una gestione ferrea che preveda regole condivise.

Molte aziende stanno implementando sistemi di monitoraggio del benessere che, sotto l’apparenza di tutela dei dipendenti, raccolgono dati personali sensibili senza una reale comprensione delle implicazioni etiche e legali. La facilità tecnica di raccolta e analisi non giustifica l’invasività di certe pratiche.

A cosa serve questa raccolta senza sosta se poi non siamo in grado di costruire ambienti accoglienti, inclusivi, capaci di integrare culture e competenze differenti?

HR tra innovazione e responsabilità

Le Risorse Umane si trovano in una posizione delicata: da un lato la pressione per l’innovazione tecnologica, dall’altro la responsabilità di tutelare i diritti dei lavoratori. Nel recruiting, gli algoritmi di screening possono accelerare i processi ma introducono nuove forme di bias, spesso meno trasparenti di quelli umani tradizionali. E, aggiungo, spesso più difficili da individuare.

La gestione della performance attraverso l’AI solleva questioni fondamentali sulla privacy e l’equità. Sistemi che promettono di identificare dipendenti “a rischio” di turnover o con “potenziale inespresso” operano su correlazioni statistiche che possono perpetuare discriminazioni nascoste.

Di nuovo, è necessario sviluppare competenze non solo specifiche ma anche e soprattutto generali per governare la “macchina” e  valutare criticamente questi strumenti, comprenderne i limiti metodologici e garantire che l’efficienza tecnologica non comprometta i principi di rispetto e dignità del lavoro.

Prospettive realistiche per il futuro

Le opportunità reali dell’AI nel mondo del lavoro richiedono un approccio più maturo e consapevole. Piuttosto che inseguire applicazioni spettacolari ma di dubbia utilità, le organizzazioni dovrebbero concentrarsi su casi d’uso specifici e misurabili, sviluppando simultaneamente le competenze interne necessarie per una gestione responsabile.

L’AI generativa applicata alla formazione può effettivamente personalizzare l’apprendimento, ma richiede investimenti significativi in infrastrutture e competenze che molte aziende sottovalutano. La progettazione di ambienti di lavoro adattivi rappresenta un’opportunità interessante, ma necessita di un ripensamento profondo dell’organizzazione spaziale e sociale del lavoro.

La sfida principale rimane culturale: superare l’illusione che l’AI sia una soluzione semplice a problemi complessi e sviluppare un approccio critico che bilanci innovazione tecnologica e rispetto dei valori umani fondamentali.

La trasformazione del lavoro nell’era dell’intelligenza artificiale richiede prudenza, competenze specifiche e una forte consapevolezza etica. Solo attraverso questo equilibrio sarà possibile realizzare il potenziale di queste tecnologie senza compromettere la dignità e i diritti dei lavoratori.

Questo articolo è stato redatto con la collaborazione di un agente di ricerca personalizzato di Claude.ai creato, supevisionato e validato dall’autore.

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