Smart working, a quasi un anno dall’inizio della pandemia, Adp tira le somme e guarda al futuro

Il report 2020 si concentra su cosa deve cambiare nei capi delle aziende perché il lavoro agile sia un’opportunità e non una fonte di stress.

work from home

C’è chi ne ha tratto benefici e chi è «impazzito» per gestire lavoro e famiglia. A quasi un anno dall’inizio dello smart working di massa – che reale smart working non è mai stato, ma semmai working from home – prosegue la riflessione su ciò che è stato questo strano periodo e ciò che sarà. Adp, tra i leader nel settore dei servizi per la gestione delle risorse umane, ha realizzato un report sul 2020 da cui è emerso che l’impulso dato dal lavoro agile non è stato solo positivo. Certamente le organizzazioni hanno preso decisioni importanti e messo in campo strumenti e misure per attivare le quali, in una situazione di normalità, avrebbero impiegato anni, ma questo cambiamento repentino ha anche portato con se’ un livello di stress molto alto.

«Gli importanti cambiamenti avvenuti nel mondo del lavoro nel 2020 stanno aprendo la strada a un mercato del tutto nuovo – riferiscono da Adp a Repubblica – Quest’anno il panorama è mutato: sia i datori di lavoro sia i lavoratori stanno cercando soluzioni digitali che siano capaci di aiutarli a superare le sfide dovute a una pandemia globale, a una recessione economica e all’ingiustizia sociale».

Ciò che è certo è che, durante le prime settimane di lockdown, più di quattro lavoratori su dieci intervistati a livello globale da Adp hanno riferito di aver sopportato livelli molto alti di stress, causati dal dover gestire contemporaneamente lavoro e famiglia, ma anche da problemi tecnici che hanno reso difficile compiere le proprie mansioni. Tanto è vero che sono aumentate di molto le richieste di benefit e di permessi e programmi assistenziali, con un incremento del 116%. Nonostante ciò, la maggior parte dei lavoratori (65%), superato il trauma iniziale, si rivela ottimista riguardo alla flessibilità che il futuro potrà riservare.

Come fa sapere Nicola Uva, Strategy & Marketing Director ADP Employer Services Italia, anche prima della pandemia varie aziende avevano messo in campo modalità smart di lavoro – ad esempio uffici intermedi flessibili, dove le persone che lavoravano lontano dalla sede potevano recarsi senza doversi spostare – ma certamente non su ogni giorno della settimana. All’estero, peraltro, esistevano già numerose esperienze di asili che mettevano a disposizione dei genitori aree per appartarsi e lavorare. Ciò che bisognerà fare, dunque, se permarrà questa situazione di lavoro non in sede, sarà calare queste riflessioni sulla realtà italiana, caratterizzata da aziende di piccola o media dimensione.

Uva ha inoltre ricordato che, non appena si è potuto tornare anche parzialmente in presenza, alcune aziende hanno preferito optare per la cassa integrazione. Ma questo atteggiamento, secondo Adp, va modificato perché le crisi non vanno subite, ma affrontate. E a cambiare devono essere innanzi tutti i capi, che devono dimostrarsi in grado di trasformare i modelli organizzativi e impostare il lavoro sempre più per obiettivi, uscendo dall’ottica del controllo. Insomma, conclude Uva, «non è funzionale il diritto alla disconnessione che arriva per legge, perché vuol dire che manca la fiducia tra la persona e il capo che rappresenta l’azienda. Il diritto alla disconnessione non è rispettato in molte aziende, ma già prima dello smartworking. È un problema di cultura, che deve andare oltre le regole imposte».

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