Smart working, i dati 2022 dell’Osservatorio del Politecnico

L’Osservatorio smart working presenta i risultati della ricerca 2022, identificando trend e modalità di applicazione del lavoro agile, strumento entrato a pieno titolo nella routine organizzativa delle imprese a seguito dell’emergenza da Covid-19. Ma, sottolinea Mariano Corso, responsabile scientifico, «è il momento di riflettere su cosa sia il “vero smart working”, che deve essere l’occasione per attuare un cambiamento più profondo, incentrato sul lavoro per obiettivi e su una digitalizzazione intelligente delle attività».

Smart Working

Le restrizioni dovute all’emergenza sanitaria sono state eliminate e, a quasi tre anni dallo scoppio della pandemia, lo smart working continua ad essere utilizzato, seppur con modalità diverse da quelle avviate durante il lockdown.

Sono circa 3,6 milioni i lavoratori da remoto, nel 2022, secondo i dati dell’Osservatorio sullo smart working della school of management Politecnico di Milano, diffusi il 20 ottobre, durante il convegno Smart Working: Il lavoro del futuro al bivio. Quasi 500 mila in meno rispetto al 2021, concentrati soprattutto nella PA e nelle PMI, diversamente da ciò che si registra nelle grandi imprese (al 91%, mentre nel 2021 era all’81%), i cui lavoratori in smart working corrispondono alla metà del numero complessivo.

Osservando a quante giornate corrispondono le percentuali, emerge che sono 9,5 quelle in cui si lavora da remoto nelle grandi imprese e 4,5 nelle PMI, realtà in cui ancora prevale la cultura del controllo della presenza e lo smart working viene visto come una misura emergenziale. Otto sono, invece, le giornate di lavoro da remoto al mese nelle PA, dove si è passati dal 67 al 57%.

Certamente l’aumento dei costi energetici costituisce una spinta ad incentivare lo smart working, dato che un lavoratore da remoto due giorni a settimana risparmia mille euro all’anno nei trasporti: aumenteranno i consumi di gas e luce a casa di circa 400 euro, ma il risparmio comunque annualmente sarà di 600.

A ridurre di molto i costi sono senz’altro le aziende che, nel caso in cui attivino lo smart working per due giorni alla settimana e ottimizzando l’uso degli spazi, potranno risparmiare 500 euro l’anno a postazione; nel caso in cui si riducano anche le sedi, alternando la presenza dei dipendenti, allora il risparmio potrà raggiungere i 2.500 euro l’anno a postazione.

«La diffusione delle iniziative di smart working negli ultimi due anni ha portato numerose organizzazioni e persone a confrontarsi con un modo di lavorare radicalmente diverso rispetto a quello adottato prima della pandemia – spiega Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio smart working – Spesso, tuttavia, l’applicazione delle nuove modalità di lavoro si è concretizzata con l’introduzione del solo lavoro da remoto, che ha consentito di gestire le emergenze e supportare il work-life balance delle persone, ma che non rappresenta un ripensamento del modello di organizzazione del lavoro. È il momento di riflettere su cosa sia il “vero smart working”, che deve essere l’occasione per attuare un cambiamento più profondo, incentrato sul lavoro per obiettivi e su una digitalizzazione intelligente delle attività».

I benefici dello smart working sono da considerarsi anche a livello ambientale: la riduzione delle emissioni di CO2 stimata è pari circa a 450 kg a persona all’anno grazie alla diminuzione degli spostamenti (-350 kg) e delle emissioni prodotti nelle sedi (-400 kg) al netto delle emissioni addizionali dovute al lavoro dalla propria abitazione (in media circa 300 Kg di CO2).

«Nel complesso lo smart working comporta una generale riduzione dei costi sia per i lavoratori sia per le aziende che lo adottano – spiega Fiorella Crespi, direttrice dell’Osservatorio – In questo momento di grave tensione su costi energetici e inflazione, questo risparmio potrebbe essere impiegato per fronteggiare la crisi e sostenere la redditività aziendale e il potere d’acquisto dei lavoratori. Le organizzazioni potrebbero valutare di restituire ai lavoratori una parte del risparmio ottenuto, ma nella nostra rilevazione oggi solo il 13% delle aziende del campione prevede per i lavoratori che lavorano da remoto dei bonus o rimborsi che non siano buoni pasto».

Durante il convegno si è inoltre riflettuto anche sugli spazi di lavoro, i cui ambienti dovranno essere pensati per essere sempre più motivanti e stimolanti. Sono già numerose le aziende che hanno agito in questo senso – il 52% di quelle grandi, il 30% delle PMI e il 25% delle PA – e si prevede che in futuro lo facciano un ulteriore 26% delle grandi imprese, il 21% delle PA e il 14% delle PMI. Altro elemento, quello dello sviluppo crescente di luoghi “terzi” come i co-working.

Osservando, poi, tre diverse tipologie di lavoratori – gli on-site worker, che lavorano stabilmente presso la sede di lavoro, i remote non smart, che hanno la possibilità di lavorare da remoto ma non altre forme di flessibilità, e gli smart worker, che hanno flessibilità sia di luogo sia oraria e lavorano per obiettivi – si rileva che gli ultimi sono quelli con migliori risultati sul piano del benessere generale.

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