Smart working, puntare sugli accordi tra le parti

L’analisi sulla fase di emergenza con il grande impatto sul lavoro (comprese pmi e mondo delle professioni) e le previsioni sui futuri modelli organizzativi. L’opinione della giuslavorista Paola Pezzali: l’auspicio è che gli accordi individuali rimangano residuali. Con il dialogo tra imprese e lavoro si tutelano al meglio le esigenze dell’economia e quelle della salute e sicurezza.

Pezzali-paola

L’impatto dell’emergenza coronavirus sul mondo del lavoro è stato forte. I decreti si susseguono, imprese e lavoratori si attrezzano per contenere la diffusione. Su questa frontiera i giuslavoristi sono in prima linea per indicare soluzioni e individuare traiettorie future. Cosa sta succedendo? Come cambierà il lavoro dopo la fine dell’emergenza? Ne abbiamo parlato con Paola Pezzali, avvocata giuslavorista, fondatrice dello studio Cafiero Pezzali e Associati, docente in corsi e master universitari, autrice di diverse pubblicazioni in materia di diritto del lavoro.

Cosa sta succedendo in questi giorni convulsi? Cosa vede?

La prima considerazione è relativa alla diffusione su larga scala dello smart working, anche se non è sempre smart working vero e proprio quello di questi giorni. È previsto dal nostro ordinamento dal 2017 ma finora era utilizzato quasi esclusivamente da multinazionali o grandi gruppi bancari e assicurativi. Oggi, sulla spinta dell’emergenza, questa nuova modalità di svolgimento della prestazione è usata anche nelle piccole e medie imprese e nel mondo delle libere professioni. L’emergenza ci ha prospettato una nuova modalità di svolgimento del rapporto di lavoro.

Positiva?

Sì. La finalità dello smart working è di migliorare il work life balance in un’ottica di dialogo tra imprese e mondo del lavoro, nell’ottica del miglioramento della produttività sia per le aziende che per i lavoratori. Questo avviene attraverso una nuova modalità di intendere il lavoro, sulla quale, in Italia, siamo molto in ritardo.

In che senso?

Abbiamo una legislazione che è prevalentemente legata alla retribuzione con paga oraria, mentre lo smart working si regge sul concetto di lavoro per obiettivi o risultati. Adeguare il nostro sistema normativo ai nuovi modelli di organizzazione del lavoro è sempre più una necessità.

In questi giorni ci si muove nella fretta dettata dall’emergenza, in territori poco conosciuti. Vede situazioni problematiche?

Sono sostanzialmente due gli ambiti che potrebbero creare problemi: sicurezza e privacy. Lo smart working, già in tempi ordinari, creava difficoltà sul tema della sicurezza sul lavoro, oggi potrebbero essercene ancora di più. Sul tema privacy ci potrebbero essere problematiche sulle quali non si è riflettuto abbastanza, penso agli ambiti privati di chi lavora da casa e ai sistemi di controllo che un datore di lavoro può adottare. Ci si sta muovendo in settori nei quali non ci sono indicazioni sulle corrette modalità di intervento.

Vista le novità e la fase di emergenza, qual è il giusto approccio da tenere?

Oggi lo strumento smart working è incoraggiato dal protocollo del 14 marzo sulla sicurezza sul lavoro e dal decreto sull’emergenza Covid-19, perchè è lo strumento migliore per coniugare esigenze economiche e sicurezza. Oggi si accede allo smart working molto rapidamente, con accordi individuali come, tra l’altro, previsto dalla legge del 2017. Auspico che per il futuro questa resti un’ipotesi residuale.

Come bisognerebbe muoversi?

Ciò che ci insegna l’attuale situazione è che impresa e lavoro possono dialogare e camminare insieme per garantire le due esigenze fondamentali dello Stato: tutela dell’economia e della salute. I baluardi dell’ordinamento, tutelati dalla Costituzione. Dobbiamo avere chiaro che nel futuro, quando i motori dell’economia non saranno più al minimo, gli accordi saranno fondamentali. Quando si dovrà spingere sull’acceleratore della ripresa, meglio avere accordi raggiunti con il coinvolgimento dei sindacati. Proprio in questi giorni, il gruppo Leonardo ha fatto un accordo che va in questa direzione: mi sento di dire che il dialogo non solo è sempre possibile, ma è necessario per il bene del Paese, sia nella fase di emergenza sia nella fase di ripresa.

Che ricadute ci sono sul vostro lavoro di avvocati giuslavoristi?

Sul tema lavoro siamo in prima linea, soprattutto nell’assistenza a società farmaceutiche, che hanno attività che non solo non possono fermarsi ma devono aumentare la produzione. Abbiamo creato dei format con le risposte alle principali domande provenienti dalle aziende: in questa fase, per chi fa consulenza, è fondamentale fornire informazioni chiare, puntuali e soprattutto con un focus pratico. Le imprese vogliono sapere come devono operare in una situazione che evolve decreto dopo decreto, dall’uso dei termoscanner alla gestione dei dati. Nostro compito è quello di dare un supporto concreto, con focus specifici e pratici.

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