Termini HR da conoscere: il linguaggio delle risorse umane
Talent Acquisition, Performance Management, Employee Engagement, Compensation & Benefits e tanti altri. Come parlano gli HR e quali sono i termini che usano di più? Una cassetta degli attrezzi per orientarsi nel linguaggio HR contemporaneo

Non è una semplice impressione: nell’ultimo decennio gli anglicismi si sono diffusi a macchia d’olio nel settore delle risorse umane. Anzi, secondo una ricerca nazionale condotta tra maggio e giugno 2024 , dovremmo parlare di settore HR, usato con una frequenza di gran lunga maggiore (quasi 9 volte su 10) rispetto all’italiano risorse umane. È solo uno dei tantissimi esempi della vita quotidiana: per chi ha iniziato solo da poco a masticare questo (nuovo) linguaggio, ecco una guida con i principali termini da conoscere e del perché siano sempre più diffusi.
L’anatomia del linguaggio contemporaneo
Nella ‘neolingua’ del mondo del lavoro convivono neologismi anglosassoni, ibridazioni linguistiche e terminologie tradizionali, in un ecosistema linguistico che si regge su un (forse) precario equilibrio, ma che è bene conoscere al meglio per poterlo così padroneggiare senza scivoloni.
Dal reclutamento alla gestione della performance
In principio fu il reclutamento, ora invece parliamo di talent acquisition. Il termine inglese, in realtà, porta con sé tutta una serie di implicazioni e sfumature, che il “reclutamento” non ha forse mai posseduto in maniera così distinta. In questo processo, infatti, non possiamo tralasciare anche il cosiddetto sourcing – l’identificazione proattiva di potenziali candidati – e l’employer branding, ovvero la costruzione di una reputazione attrattiva sul mercato del lavoro. E in effetti anche il termine recruitment, che pure viene usato nel mondo anglofono, si è arricchito per abbracciare strategie di candidate attraction – cioè tutto ciò che può, appunto, attrarre il futuro candidato – che vanno ben oltre la pubblicazione di annunci, fino ad arrivare al talent scouting, una vera e propria caccia ai talenti nel mercato professionale.
In ottica di assunzione, poi, è diventato imprescindibile lo skill-based hiring, che valuta competenze e abilità effettive piuttosto che titoli di studio o esperienze pregresse. Questo perché oggi lo skill gap, cioè quel divario tra competenze ricercate e competenze disponibili, è per molte aziende una criticità difficile da colmare.
Sul piano dei risultati, invece, il Performance Management ha sostituito il tradizionale concetto di “valutazione del personale”, introducendo una visione più dinamica e continua del monitoraggio delle prestazioni. Parliamo infatti di 360 Feedback (riscontro, valutazione a 360 gradi), che coinvolge colleghi, superiori e collaboratori diretti in un processo di valutazione circolare, e i KPI (Key Performance Indicators), indicatori quantitativi che permettono di misurare l’efficacia in modo più oggettivo. Parallelamente, sono sempre più diffusi i continuous feedback, che cioè sostituiscono le valutazioni annuali con una comunicazione costante tra manager e collaboratori.
Quando però le prestazioni non raggiungono gli standard attesi, entra in gioco il Performance Improvement Plan (PIP), uno strumento strutturato per aiutare i dipendenti in difficoltà.
Coinvolgere il dipendente
L’engagement, cioè il coinvolgimento, del dipendente è diventato la cartina al tornasole dell’efficacia di tutte le misure attuate per migliorare il benessere del personale. L’Employee Engagement rappresenta infatti una delle evoluzioni più significative nel pensiero HR contemporaneo, che va oltre la semplice soddisfazione lavorativa (job satisfaction), perché punta a un coinvolgimento profondo che lega il dipendente agli obiettivi organizzativi. Così, l’employee retention – cioè la capacità di trattenere i talenti – è diventata un indicatore strategico cruciale, mentre l’employee motivation viene monitorata attraverso survey periodiche che misurano umore, soddisfazione e coinvolgimento. Vista l’importanza del coinvolgimento, molto spesso le aziende sviluppano vere e proprie engagement strategy per aumentare l’entusiasmo e la partecipazione del personale ai progetti aziendali.
Come parliamo di stipendi
Da questi mutamenti linguistici non è esente neppure l’area dei compensation and benefits, cioè quella della retribuzione e dei benefici distribuiti a lavoratori e lavoratrici.
Il salary banding, per esempio, indica i livelli retributivi in base al ruolo e alle prestazioni, mentre il pay equity si riferisce all’equità salariale indipendentemente da genere, etnia o altre caratteristiche personali. Il concetto di total rewards, invece, amplia la visione tradizionale del compenso, includendo tutti gli elementi del pacchetto offerto ai dipendenti: dalla retribuzione monetaria ai benefit, dalle opportunità di crescita al riconoscimento professionale. Il benefit plan design si concentra poi sulla strutturazione di vantaggi che rispondano effettivamente ai bisogni dei dipendenti, creando pacchetti personalizzati e flessibili, in stretto collegamento con il welfare aziendale.
Diversità, equità e inclusione
Tra le ultime e maggiori conquiste per la tutela e la valorizzazione dei dipendenti rientra sicuramente tutto il settore DEI (Diversity, Equity, Inclusion). È al DEI che fanno capo concetti come la cultural competence, cioè la capacità organizzativa di interagire efficacemente con persone di culture diverse, e l’affirmative action, che definisce invece politiche attive per aumentare le opportunità dei gruppi storicamente sottorappresentati.
Progettare il futuro con il workforce planning
L’analisi dei bisogni futuri di un’organizzazione e la pianificazione dei passi necessari per soddisfarli rientra nel cosiddetto workforce planning, a cui si legano ulteriori termini come succession planning, che identifica e sviluppa i futuri leader, attingendo dal talent pool, ovvero un bacino di potenziali candidati adatti a ricoprire quei ruoli. La gap analysis, invece, riguarda il confronto tra le competenze attuali e quelle necessarie, mentre il talent management coordina attrazione, sviluppo, coinvolgimento e fidelizzazione in un approccio integrato.
HR analytics
L’HR analytics si traduce in un approccio basato sui dati (data-driven) della gestione delle persone. Questi dati possono indicare, per esempio, il tasso di persone che lasciano l’azienda (turnover rate). Più in generale, i people analytics si traducono nell’utilizzo di comportamenti, relazioni e caratteristiche umane come fonti di dati, trasformando decisioni intuitive in scelte basate su evidenze, mentre le predictive analytics applicano machine learning e tecniche statistiche per prevedere scenari futuri.
I valori dell’azienda
Sotto l’ombrello della organization culture rientrano tutti quei valori, quelle convinzioni e quei comportamenti che plasmano l’ambiente sociale e psicologico di un’organizzazione. Parliamo più nello specifico di core values, cioè i valori fondamentali per un’azienda, mentre la companionship esprime l’atmosfera complessiva all’interno dell’organizzazione. Il change management è la gestione del cambiamento organizzativo dal punto di vista delle persone. Altri due termini all’ambito dei valori che ricorrono con grandissima frequenza sono vision e mission, parole affini ma non interscambiabili. Questo perché la vision è l’aspirazione futura a lungo termine, la “meta” che un’azienda desidera raggiungere, mentre la mission è ciò che l’organizzazione fa nel presente per realizzare quella vision, descrivendo quindi il suo scopo attuale, le attività che svolge e come intende raggiungere il futuro desiderato.
Perché l’inglese ci piace tanto
La ragione principale della nascita di questa sorta di neolingua risiede principalmente nella globalizzazione delle pratiche di gestione del personale, guidata soprattutto da multinazionali di origine anglofona, che ha contribuito a diffondere la propria terminologia anche sul suolo italiano. Mantenere intatto il lessico porta con sé vantaggi indubbi: precisione tecnica e sintesi, in primo luogo, ma anche la percezione di un maggior prestigio professionale. Il rischio dietro l’angolo è quello di utilizzare anglicismi in maniera eccessiva, quando non addirittura iperbolica: tempo fa, per esempio, un annuncio di lavoro per una posizione di bibliotecario è diventata una ricerca per un library loan specialist, facendo il giro dei social .
Al di là dei casi più estremi, comunque, il problema di possibili barriere comunicative persiste, soprattutto nel caso di personale alle prime armi o appartenente a vecchie generazioni e con una scarsa conoscenza dell’inglese: il risultato – secondo la ricerca – è che 6 persone su 10, dei mille intervistati, ha fatto finta almeno una volta di aver compreso un anglicismo durante una riunione pur di non risultare impreparato. Ed è solo uno dei tanti esempi. Invertire il processo è difficile e forse neppure possibile, in un mondo sempre più interconnesso: sta a noi costruire pian piano il nostro vocabolario di settore, adottando le giuste terminologie, ma senza abusarne in maniera indebita. Soprattutto, occorre sincerarci che tutti gli interlocutori abbiano compreso quello che è stato appena detto e, in caso contrario, mostrarci disponibili a chiarimenti.