Vinhood, quando con il vino si saldano i team e si rafforzano i valori aziendali

L’azienda milanese utilizza il vino e altri prodotti per offrire una formazione innovativa in grado di far emergere curiosità, creatività e nuove sinergie necessarie per il futuro delle imprese.

Che sia vino (soprattutto), caffè o birra, è bene sapere che da qualche tempo esiste una realtà – Vinhood – che ha fatto del gusto e dell’esperienza relativa uno strumento in grado di soddisfare le esigenze delle persone, siano esse semplici degustatori, produttori che intendano valorizzare il proprio brand, ma anche aziende alla ricerca di occasioni di formazione e di team building innovativi.

Obiettivo di Vinhood, fin dagli esordi di alcuni anni fa, è unire due mondi: quello dei consumatori, che sono spesso in difficoltà nello scegliere il prodotto giusto per loro, e il mondo delle aziende, come spiega Matteo Parisi, founder dell’impresa.

 

Parisi, da dove avete cominciato?

Abbiamo iniziato dedicandoci a costruire una nuova geografia dei prodotti, basata su caratteristiche organolettiche, raggruppandole in cluster. Abbiamo realizzato un modello di test che in quaranta secondi, attraverso alcune domande ­– non necessariamente collegate al prodotto in se’ – rivela un carattere gustativo, che solo in un secondo momento può essere ricondotto a vini (o prodotti in genere) specifici. Questo perché da subito siamo stati interessati all’imparzialità, al cross-prodotto, proprio per concentrarci sui bisogni del cliente.

 

E, nella pratica, come vi siete mossi per farvi conoscere?

Tutto è iniziato con gli eventi, io vengo da dieci anni trascorsi in quel mondo; l’obiettivo era “portare divertimento” sul prodotto: dividevamo le persone in squadre e giocavamo con i loro sensi, con il loro gusto, ma anche con la loro creatività. Siamo andati avanti così per almeno un anno; poi con il passaparola le aziende hanno cominciato a chiederci di costruire eventi di team building con loro. Trasmettiamo messaggi apparentemente lontani dal prodotto in se’, ma che il prodotto, appunto, è in grado di veicolare: messaggi come quello della diversity, dell’inversione del valore, della sostenibilità, possono passare molto facilmente attraverso questo processo. Quindi, invece che partecipare a quattro ore di riunione, si è parte di un evento e notiamo che la veicolazione del messaggio risulta ancora più efficace.

 

Come si svolgono questi eventi?

Di solito abbiamo da un lato un intrattenitore e dall’altro una persona esperta: enologo, sommelier, dipende. Poi è arrivato il Covid e ci siamo dovuti fermare, nonostante fossimo fully-booked.

 

E che soluzione avete trovato?

Abbiamo deciso di digitalizzare tutto e riusciamo a tenere un ritmo di tre o quattro eventi a settimana. Non potendo usufruire di una location, inviamo il vino alle persone che devono partecipare all’evento e poi organizziamo dei quiz. Dividiamo la chat in squadre consentendo di dare risposte dirette e veloci. Le dinamiche del gioco sono in grado di creare sinergie. E noi continuiamo a fare Ricerca per trovare sempre nuove modalità di coinvolgimento e trasmissione di messaggi: siamo partiti con il vino, poi sono arrivati il caffè e la birra. L’ingresso nella dimensione della digitalizzazione degli eventi ci ha portati alla ricerca di sempre nuovi tool e alla scoperta di nuove dinamiche. Inoltre, la collaborazione con HR e coach ci aiuta a comprendere meglio le necessità e ci spinge a cercare sempre nuove strade per veicolare concetti in modo sempre più efficace.

 

Avete istituito anche una Academy…

Sì, ci interessava organizzare corsi for dummies, caratterizzati da dinamiche molto semplici, legate al vino e al caffè. In questi casi mandiamo a casa dei 20/30 dipendenti coinvolti una cassa di vino; una volta alla settimana per cinque settimane queste persone seguono un corso con un sommelier. Abbiamo anche avviato una collaborazione molto interessante con un’associazione di non vedenti per capire come trasmettere messaggi a chi la vista non ce l’ha. Si attivano, così, nuove sensibilità. E anche concetti come quello della diversity o della sustainability riescono a passare in modo efficace. Affinare certe sensibilità anche in situazioni emergenziali come quella scatenata dal Covid è molto importante.

 

Che tipo di feedback avete?

Il primo feedback sicuramente arriva dalla richiesta in aumento. Credo che il ragionare e “giocare” su un prodotto esterno all’azienda metta tutti sullo stesso piano. In questo modo emergono dinamiche ed energie nuove, si scatena la creatività. E nascono nuove sinergie: anche le persone che non vengono fuori in altri contesti, in questa modalità riescono a farlo.

 

Che tipo di aziende si rivolgono a voi?

Arrivano richieste da ambiti diversi tra loro, dal banking alle assicurazioni al retail. Non ci sono limiti. Tra i nostri clienti ci sono stati ad esempio Linkedin e Haier.

 

Il vino è il primo prodotto da cui siete partiti. E poi, cosa viene?

Il vino è più conosciuto; il caffè ci dà molte soddisfazioni. Si riesce ad andare oltre l’automatismo del semplice farsi un caffè, quando si scopre come se ne prepara uno davvero buono, o che esistono venti o trenta preparazioni diverse. Alle aziende piace che passi il messaggio che “un caffè” può diventare “il caffè”: così si suscita la curiosità e si può scoprire, ad esempio, che quel collega con cui non si aveva avuto granché a che fare è invece una risorsa importante. Oltre al caffè, stiamo studiando il pane. Ma anche l’olio e il cioccolato, così come il tema degli abbinamenti.

 

Com’è stato il passaggio al digitale?

Da un lato non vediamo l’ora di tornare in presenza, ma oggi sappiamo che il futuro permetterà una scelta tra una modalità e l’altra. La pausa in cui ci siamo dedicati al digitale ha dato modo di fermarsi un po’ nella corsa per ragionare e affinare certe dinamiche, che possono risultare efficacissime anche per la comunicazione interna.

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