Welfare sociale, quando la persona è al centro dell’attenzione dell’impresa

Nello scenario post pandemico diventa sempre più urgente riflettere su quali siano le forme di welfare di cui le persone e il Paese hanno bisogno, definendone il perimetro. Parlare di welfare aziendale non basta più: serve dare nuova identità a questa tipologia di intervento, mettendo al centro le persone e la loro cura. Un tema al quale sta dedicando grandissima attenzione Eudaimon, storico provider del settore, che annualmente realizza con Censis un rapporto dedicato.

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Un welfare aziendale capace di esaltare la propria funzione di utilità sociale, che permetta alle aziende di stare vicino alle persone dopo il lungo periodo di pandemia, di paura e di incertezza vissuto da tutti i lavoratori. Si parlerà anche di questo a Officina risorse umane, appuntamento in calendario a Venezia il 23 e 24 ottobre, nato con l’obiettivo di formulare proposte utili al Governo per dare un nuovo volto al mondo del lavoro nel post pandemia.

Mentre le conseguenze dell’emergenza sanitaria non consentono di alleviare la pressione sull’economia e sulla società, è necessario programmare la ripartenza e riflettere su un welfare aziendale che metta la persona davvero al centro. Sempre più aziende si sono attivate per proporre ai propri dipendenti piani di welfare; in alcuni casi, però, si è perso di vista il labile confine tra welfare retributivo – interpretato come un’integrazione della remunerazione – e welfare sociale – messo in campo per intercettare i reali bisogni delle persone.

È in questo contesto che opera Eudaimon, il primo provider di welfare aziendale in Italia, da sempre impegnato nella promozione di iniziative a orientamento sociale. A supporto di questa filosofia – e con il fine di fornire un’istantanea dello stato dell’arte del welfare aziendale in Italia – l’azienda collabora annualmente con il Censis alla stesura del Rapporto sul welfare aziendale, giunto quest’anno alla IV° edizione.

In Eudaimon sono sicuri di una cosa: la chiave del welfare aziendale di domani sarà il suo ruolo sociale. Lo ha ribadito l’amministratore delegato, Alberto Perfumo, nel corso di un convegno dedicato proprio al wellfeel, inteso come quell’insieme di azioni capaci di coniugare benessere organizzativo e welfare aziendale. Un concetto cruciale, soprattutto alla luce di ciò che l’edizione 2021 del Rapporto ha fatto emergere, ovvero il grosso scarto tra il sentiment fiducioso delle aziende nei confronti del futuro – espresso dai responsabili delle risorse umane delle duecento imprese medio-grandi coinvolte nel progetto – e quello dei lavoratori, che per il 44,2% (48,8% tra gli operai) ritengono che il lavoro nel post-Covid sia peggiorato.

Le nuove modalità lavorative, infatti, hanno spesso prodotto fragilità e paure, oltre che sensazione di disparità, ed è quindi necessario colmare questi vuoti riempiendoli di nuove motivazioni e di un rinnovato engagement: otto lavoratori su dieci vorrebbero vedere potenziati i servizi e le prestazioni per il welfare aziendale.

Resta, poi, il nodo dello smart working, sul quale emergono dati discordanti: secondo il Rapporto, la metà dei lavoratori che ne usufruiscono lo apprezza, e uno su tre teme di dover tornare a lavorare unicamente in presenza; eppure, sei persone su dieci tra coloro che non l’hanno ancora sperimentato temono lo smart-working e non vorrebbero smettere di lavorare in presenza.

Da remoto o sul posto, i lavoratori nel prossimo futuro avranno necessità di sentirsi parte di una comunità e, nel raggiungimento di questo obiettivo, sarà molto importante il ruolo del welfare aziendale, che dovrà intercettare i bisogni delle persone e offrire qualcosa di più rispetto a ciò che esse possono procurarsi o soddisfare in modo autonomo. Il welfare aziendale, per dirla con le parole di Alberto Perfumo, «dovrà avere una rilevanza sociale: senza la rilevanza sociale non ha senso che il welfare sia agevolato. È il valore che diffonde nella società che porta, poi, a un reale beneficio». Ciò significa che «se si vuole promuovere un welfare che abbia un valore, è inutile erogare le soluzioni come i biglietti per il cinema o i voucher per i viaggi – spiega l’Ad di Eudaimon – Se ci fossero risorse disponibili e, oltre a questo, si potesse incidere sulla cultura, allora non ci sarebbe problema nell’offrire queste agevolazioni; ma, prima di tutto, è necessario riorientare il welfare nella direzione di cui tutti hanno bisogno, cioè alle necessità più basilari».

Da tenere in considerazione anche l’aspetto economico del welfare aziendale, il cui valore si aggirerebbe attorno ai 53 miliardi, se tutte le imprese private lo utilizzassero. «Si stima un beneficio potenziale per le aziende di 34 miliardi di euro tra vantaggi fiscali e possibili incrementi della produttività – si legge nel Rapporto – mentre per il singolo lavoratore un beneficio economico che ammonta a quasi una mensilità in più all’anno, per un totale di 19 miliardi di euro».

Numeri da non sottovalutare, soprattutto se sommati all’importante contributo che il welfare aziendale potrebbe portare alle aziende in qualità di fattore abilitante del PNRR.

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