BonelliErede, doppia menzione per lo studio legale nella classifica di Legal 500

Antonella Negri, giuslavorista, racconta la professione nel pre e post Covid e mette in luce gli elementi che hanno portato lei e lo studio a questo importante riconoscimento.

Antonella Negri

Doppio riconoscimento per Antonella Negri, partner di BonelliErede, nell’ambito della classifica dedicata ai migliori studi legali, pubblicato di recente da Legal 500: la menzione arriva infatti sia come avvocato del dipartimento del prestigioso studio legale sia come singola professionista. Il ranking viene effettuato ogni anno sulla base di parametri quali il fatturato specifico, la notorietà dei clienti e delle operazioni realizzate e il giudizio dei colleghi di comparto. Lo studio BonelliErede si è aggiudicato il riconoscimento a pari merito con Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners, Lablaw e Toffoletto De Luca Tamajo.

“Siamo felici e orgogliosi soprattutto per il ranking del dipartimento – sottolinea Negri – investiamo molto nei praticanti ma abbiamo anche collaboratori storici che sono con noi da tempo e questo ci dà forza. Inoltre riteniamo un importante traguardo essere riconosciuti come dipartimento nell’ambito di uno studio ben noto da anni in altri settori, con vere e proprie star”.

Un lavoro di squadra, insomma…

Sì, è così. Il gruppo di lavoro è molto unito: ogni giorno, anche in questi tempi di lavoro da remoto, siamo in video call con tutto il dipartimento per affrontare insieme le questioni tecniche più delicate e confrontarci. Il nostro modo di interpretare la professione è quello di voler essere vicini ai clienti concretamente, per dare loro soluzioni che rispondano  alle domande degli amministratori, dei responsabili delle risorse umane, dei Legal Counsel.

Quali sono gli ambiti in cui operate prevalentemente?

Dopo la riforma del Jobs act il contenzioso si concentra sui casi di grosse dimensioni che vedono coinvolta una pluralità di lavoratori: appalti, cessioni di ramo, operazioni di outsourcing. Meno sui licenziamenti, visto che la riforma ha reso più semplice trovare degli accordi, sia per il procedimento – e mi riferisco alla procedura preventiva davanti all’Ispettorato per le aziende con più di 15 dipendenti – sia per la sanzione, prevalentemente economica.

Perché?

Negli ultimi anni le società – soprattutto quelle di notevoli dimensioni – hanno effettuato operazioni di outsourcing di servizi non core: basti pensare al back office, ai call center, alla logistica ecc. E queste operazioni hanno portato a contenziosi con i dipendenti che agiscono per poter rientrare nelle società cedenti.

Quali altri contenziosi trattate?

Ci si occupa ancora di licenziamenti per giusta causa, che richiedono spesso indagini complesse (con veri e propri audit). Indubbiamente ridotto, invece, il contenzioso (quasi scomparso) sui contratti a termine o sulle mansioni. D’altro canto, ha invece un peso rilevante il contenzioso verso gli enti previdenziali, a valle di accertamenti che si concentrano statisticamente sui rapporti di lavoro autonomo (riqualificati in rapporto di lavoro subordinato) e sugli appalti (riqualificati in somministrazioni irregolari di manodopera).

E lo stragiudiziale?

È una parte impegnativa. Si passa dalle politiche di remunerazione, soggette a normative in via di revisione, che impongono supporto alle banche o alle assicurazioni, alla contrattualistica, alla pareristica sui temi più disparati, che occupa una fetta importante del nostro lavoro.

Per ciò che riguarda i contenuti, l’emergenza Covid-19 ha cambiato qualcosa?

Il lock down ha avuto un impatto importante sul mondo del lavoro: basti pensare ai blocchi e alla riduzione di attività e alle modalità diverse di svolgimento delle prestazioni di lavoro. Abbiamo cercato di stare a fianco dei nostri clienti nell’affrontare le diverse problematiche: cassa integrazione, smart working, protocolli di sicurezza, soprattutto per il rientro in ufficio o lo svolgimento di attività fuori dai locali aziendali (come ad esempio le trasferte o le attività delle reti commerciali), valutazione delle responsabilità in ipotesi di infortunio da Covid-19, questioni mediche e privacy, uso delle nuove tecnologie (le app) a prevenzione e contenimento dei contagi, ecc. Alcune società ci hanno chiesto pareri sull’organizzazione del lavoro, sull’obbligatorietà o meno dello smart working, sull’implementazione di strumenti da cui rilevare l’efficienza dei lavoratori in smart working e la loro legittimità rispetto alla normativa dello Statuto dei lavoratori.

Cosa vi aspettate per i prossimi mesi?

Resta la gestione dell’emergenza e del rientro; chi era più strutturato ha avuto meno difficoltà. Vedremo ora come reagiranno le aziende in questo contesto di difficoltà. Noi ci aspettiamo che diverse realtà non saranno in grado di affrontare i prossimi mesi e ripartire, se non a prezzo di grandi sacrifici. Difficile dire se sarà nel 2020 o nel primo trimestre del 2021. Io credo che già nell’autunno le piccole realtà pagheranno il conto. Le grandi e medie imprese riusciranno probabilmente ad affrontare i cambiamenti con maggiore serenità, ma certo ci aspettiamo ristrutturazioni e tagli, perché non sarà facile recuperare quanto perso in settori come il trasporto, il turismo, la moda, l’automotive. Altro settore in difficoltà è quello della cultura: in BonelliErede abbiamo già un focus team dedicato al mondo dell’arte che da ultimo si sta occupando anche di questioni connesse al Covid-19 (dalla digitalizzazione dei musei alle ferie, alla gestione dei protocolli di sicurezza che tengano conto della contemporanea presenza di dipendenti e di visitatori di gallerie, musei, fiere). Ammetto di temere più il primo trimestre del 2021, quando verosimilmente verranno meno le misure di sostegno al lavoro oggi in vigore.

Cosa è utile per tamponare questo pericolo?

Dovrebbe cambiare il tipo di supporto alle aziende; non può essere solo la cassa integrazione, che ha dei limiti, sia dal punto di vista delle coperture economiche, sia dal punto di vista della durata. Occorrerebbero strumenti in grado di consentire agli imprenditori di investire in nuove tecnologie e in risorse e di rischiare senza accumulare debiti cui non potrebbero far fronte in un momento simile.

E le relazioni sindacali?

Bisogna distinguere le situazioni: laddove non sia in gioco il posto di lavoro ma si tratti di far fronte alla emergenza c’è e c’è stata tendenzialmente collaborazione e i sindacati sono stati disponibili nei confronti delle aziende (penso soprattutto al necessario ricorso alla “Cassa Covid”). Laddove, invece, la discussione vertesse su operazioni in corso prima dell’emergenza sanitaria e su licenziamenti frutto di tali operazioni (e ora in realtà bloccati), le tensioni sindacali sono state molto forti e abbiamo assistito al frequente coinvolgimento anche delle autorità amministrative e politiche.

Quali implicazioni ha lo smart working sulla vita privata e sui confini tra essa e il lavoro?

Credo sia necessario distinguere tra le varie figure professionali; tendenzialmente i dipendenti hanno proseguito con il loro lavoro anche in smart working nel rispetto dell’organizzazione del lavoro e dei tempi dell’epoca precedente l’emergenza. I liberi professionisti sono rimasti a disposizione dei clienti ed essendo tutti a casa è stato frequente anche il lavoro nei fine settimana.  Insomma, la flessibilità di orario dipende anche dal tipo di attività che si svolge. Avere l’ufficio in casa può avere dei vantaggi, ma talvolta si rischia di non riuscire a separare il lavoro dalla vita personale.

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