Job hopping: se lo conosci non lo temi
Il job hopping, ovvero la tendenza a cambiare lavoro frequentemente, è un fenomeno sempre più diffuso, soprattutto tra i giovani. Scopriamone i pro e i contro

Il job hopping è una tendenza sempre più diffusa tra i lavoratori under 40, in particolare tra i Millennial e la Generazione Z. Consiste nel cambiare lavoro frequentemente, spesso con esperienze brevi e intervalli di pochi mesi tra un impiego e l’altro.
Chi sono i job hopper e perché cambiano lavoro spesso
In Italia, secondo una ricerca svolta da ANPAL, più di 2,8 milioni di lavoratori hanno cambiato occupazione almeno due volte nel biennio 2020-2021, registrando un incremento del 20% rispetto agli anni precedenti. Vediamo nel dettaglio le dinamiche di questo fenomeno.
I profili che cambiano più frequentemente lavoro si collocano nella fascia tra i 25 e i 35 anni di età ma, mentre i Millennial sono generalmente mossi da desideri di carriera e avanzamento professionale, a stimolare la Gen Z è la voglia di cercare ambienti di lavoro flessibili, inclusivi e coerenti con i propri valori personali, dando grande importanza al benessere psicofisico e alla sostenibilità aziendale.
Le motivazioni che spingono verso il job hopping, quindi, possono essere molto diverse tra loro e in alcuni casi si tratta di un percorso addirittura inevitabile: contratti a termine, stage o collaborazioni temporanee impongono infatti cambi frequenti non sempre desiderati.
Ci sono lavoratori che scelgono attivamente di cambiare azienda alla ricerca di maggiore equilibrio tra vita privata e professionale, migliori opportunità economiche, oppure un ambiente di lavoro più stimolante e meritocratico. È interessante notare che, secondo il Randstad Workmonitor, sia Millennial sia Gen Z attribuiscono una certa importanza alla retribuzione, ma non la considerano l’elemento più importante nel lavoro.
In altri casi ancora, il job hopping nasce da una rottura: contesti aziendali tossici, mancanza di crescita e di autorealizzazione, scarsa valorizzazione o politiche di gestione obsolete possono spingere un talento ad abbandonare rapidamente il proprio ruolo.
Vantaggi e svantaggi del job hopping: il punto di vista delle HR
Dal punto di vista del lavoratore, il job hopping può rappresentare un acceleratore di carriera. Cambiare spesso ruolo consente di accumulare rapidamente competenze diverse, arricchire il proprio network professionale e sperimentare ambienti di lavoro variegati. In alcuni casi – legati alle caratteristiche soggettive dei lavoratori –, questa varietà diventa un plus anche per i datori di lavoro, che si trovano davanti candidati dinamici, adattabili e con uno sguardo ampio sul mercato.
C’è però anche un rovescio della medaglia. Per le HR, infatti, un curriculum con esperienze troppo brevi può sollevare dubbi sull’affidabilità, sulla capacità di lavorare nel lungo termine e sull’effettiva motivazione del candidato. Dal lato del lavoratore, il cambiamento continuo può portare instabilità, stress e una percezione di precarietà professionale. Infine, per le aziende il turnover frequente si traduce in costi più alti, perdita di know-how e difficoltà nella costruzione di team solidi e coesi.
Come gestire il job hopping
Affrontare il job hopping richiede un cambio di prospettiva. I manager delle Risorse Umane devono partire da una selezione attenta e consapevole, analizzando il percorso dei candidati in modo qualitativo. È fondamentale non fermarsi alla semplice durata delle esperienze lavorative, ma cercare di comprendere le motivazioni che hanno spinto al cambiamento. L’utilizzo di software HR e strumenti di intelligenza artificiale può rivelarsi molto utile nella valutazione di grandi volumi di candidati, evidenziando pattern ricorrenti e valori in linea con la cultura aziendale.
Un’altra leva strategica è l’onboarding. Accogliere e integrare il nuovo assunto in modo strutturato e coinvolgente fin dal primo giorno aumenta il senso di appartenenza e riduce il rischio di abbandono precoce.
L’attenzione al benessere organizzativo, poi, è di fondamentale importanza. Dare la giusta centralità alle persone, garantire un ambiente rispettoso (iniziando dal rispetto delle condizioni contrattuali di base non sempre così scontato), con benefit coerenti, politiche di flessibilità, percorsi di crescita trasparenti e strumenti per prevenire lo stress lavoro-correlato (come programmi per promuovere la salute mentale, per esempio) può fare la differenza nel trattenere i talenti.
Offrire piani di carriera chiari e percorsi di formazione continua può consentire di trasformare il lavoro da semplice impiego a progetto personale, favorendo l’engagement. Questo è particolarmente importante per le generazioni più giovani, che tendono a valutare positivamente le aziende capaci di investire sulle proprie persone.
Infine, è sempre più determinante l’allineamento tra cultura aziendale e valori individuali. I lavoratori più giovani scelgono con attenzione le realtà in cui operare, privilegiando quelle che promuovono la sostenibilità, l’inclusività e l’innovazione sociale. Comunicare in modo trasparente la propria mission, le politiche ESG e l’impatto sul territorio può diventare un elemento decisivo nella capacità di attrarre (e trattenere) le nuove generazioni.