A tu per tu con le Top HR Women: Anna Illiano

«Importante è riflettere sulla capacità di gestire il ruolo che si ha in azienda, al di là del genere». Questo il punto di vista di Anna Illiano, Chief People Organization and Transformation Officer – Executive Group Director di MA Group, che invita le donne a uscire da condizionamenti e cliché.

anna illiano

«Le donne dovrebbero sforzarsi di andare oltre i cliché imposti – e spesso autoimposti – ed essere esse stesse autrici del cambiamento, pensando di poter raggiungere ruoli diversi e superiori a quelli che ricoprono». Ne è convinta Anna Illiano, Chief People Organization and Transformation Officer – Executive Group Director di MA Group, azienda storica che opera nel campo aerospaziale, di cui sta accompagnando l’evoluzione infrastrutturale e culturale. MA Group rappresenta un sistema complesso che sta strutturando il suo profilo in una dimensione sempre più internazionale e di prestigio: «In questa fase ho l’opportunità di partire dalle fondamenta per costruire l’azienda di domani. Oggi, come nei quasi trenta anni all’attivo, l’obiettivo è guidare la trasformazione dell’azienda e la sua internazionalizzazione, nonché la sua digitalizzazione attraverso lo sviluppo delle risorse, dei processi e dell’organizzazione stessa con la responsabilità delle RU, ITC e Compliance, Facility management, Sostenibilità ed Eventi.

Come è iniziata la sua carriera? 

«La prima esperienza, subito dopo la mia Laurea conseguita alla Cattolica di Milano, è stata in consulenza strategica organizzativa. Ricordo un importante progetto in Fincantieri nei siti liguri, dove in quegli anni era in corso un corposo processo di qualificazione del personale: lì ho capito che quello dell’HR e del People management doveva essere il mio settore. Così, dopo due anni, sono tornata a Milano per un executive master in HR Management presso la Bocconi. 
Nel 1990 è arrivato l’ingresso nel Gruppo Finmeccanica (oggi Leonardo) presso la divisione aeronautica come Direttore delle risorse umane di oltre ottomila dipendenti in Italia, ma con sedi e partnership internazionali. Uno dei ricordi costanti della mia vita da HR è “la valigia”: tre continenti, cinque nazioni, quattro stati, più di dieci siti lavorativi, diversi incarichi e innumerevoli sfide. Nella mia esperienza mi sono relazionata con attori di primo piano come il Gruppo EADS, Boeing, Eurofighter Typhoon, Lockheed Martin, Sukhoi. Un’ulteriore esperienza particolarmente rilevante è con Airbus, mentre guidavo l’integrazione di ATR, una joint venture italo-francese Airbus e Leonardo. Nel 2007 arriva MBDA, produttore di missili e colosso europeo della difesa di proprietà di Airbus, BAE Systems e Leonardo, con 11 mila dipendenti». 

Com’è stato l’approccio, in un ambiente oltretutto molto maschile? 

«È necessario cambiare approccio perché si avverte maggiormente il tema della diversity. Però io credo che se ci si concentra con fermezza sul ruolo, sulla professionalità e sulle competenze, è una scelta che nel tempo ripaga. Di certo non si guarda a un uomo o a una donna allo stesso modo, ma a volte siamo un po’ anche noi donne che ci mettiamo in una condizione tale da farci sentire così. Detto ciò, quando scelgo una persona lo faccio sempre sulla base delle competenze, non delle quote rosa. Mi sento però anche di evidenziare un paradosso: oggi nei ruoli HR ci sono più donne che uomini». 

Può diventare un “ghetto”?

«È scontato, ad esempio, associare il ruolo di gestione delle persone, dell’ascolto, alla donna. E in più aggiungo che trovo difficile il transito di una manager delle risorse umane a posizioni diverse: benché l’HR abbia sempre più un ruolo importante per il business, si fatica a passare ad altro. Questo è il cambio che si dovrebbe mettere in atto. Proprio perché ricopriamo questo ruolo in modo sempre più diffuso possiamo agire, per così dire, dall’interno; se noi donne agiamo conformandoci agli schemi, invece di puntare sulla nostra professionalità per timore o limiti autoimposti, non saremo mai agenti del cambiamento». 

È diverso l’atteggiamento delle nuove generazioni? 

«Esistono ancora elevati divari di genere. La difficoltà nel conciliare lavoro e cura della famiglia, un’incombenza che tradizionalmente pesa maggiormente sulle donne, spinge a soluzioni di comodo. Si arriva a scegliere già con un limite interiore, secondo cui le posizioni di comando in un’azienda sono viste come “naturalmente” maschili». 

Non crede che le quote rosa possano essere un’utile forzatura? 

«Possono aiutare. Il problema non è tanto il voler rispettare o meno la quota rosa, ma se quella donna che inserisco in un ruolo poi si ferma dov’è o cerca di andare oltre: proprio perché adesso noi donne abbiamo la possibilità di occupare certe posizioni, non fermiamoci, facciamo scelte ragionate e non più condizionate. È importante uscire da questi meccanismi, lavorare confrontandosi sul piano delle esperienze, delle competenze, sul piano del ruolo, perché in azienda ognuno ha un ruolo. Ecco, bisogna chiedersi se si è in grado di gestire il proprio ruolo al di là del genere». 

Cosa può aiutare il cambiamento? 

«La consapevolezza che oggi è possibile ottenere risultati diversi rispetto a qualche anno fa è già una leva potente. E credo che condividere casi e storie di successo possa essere un’ispirazione: per una donna sapere che qualcuna ha già affrontato e vinto una sfida che ora lei si ritrova a vivere in prima persona può essere importante.

Questa può essere considerata una sfida per il mondo HR? 

«Sì, indubbiamente le risorse umane devono favorire percorsi di crescita che non siano – in modo più o meno esplicito – condizionati dal genere. Ma l’altra sfida, in un momento storico di incertezza, dove le richieste sono tante, è quella di cercare di rispondere alle persone in relazione ai cambiamenti personali e storici». 

È ciò che si sentirebbe di consigliare a chi volesse intraprendere questa professione? 

«Aggiungerei anche l’avere grande coraggio e determinazione nel considerare questo ruolo, avere una visione del futuro, spingersi oltre e comprendere veramente il business, senza farsi assorbire troppo da un’operatività che può rischiare di spingere verso il basso. E ancora, suggerirei di avere tanta curiosità verso il nuovo e di non sentirsi mai arrivati, anche quando si avranno vent’anni di esperienza».

 

Cosa, invece, non bisogna fare? 

«Essere autoreferenziali».

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