Diversity management, da Don Milani ad Amartya Sen: una definizione

Se ne parla spesso e probabilmente un buon punto di partenza sarebbe quello di definire il diversity management. Ci affidiamo a chi del tema si occupa costantemente, intervenendo nelle aziende e studiandone l’evoluzione

diversity management

Questa la definizione che viene riportata nella guida operativa  di OD&M Consulting

“Il Diversity Management è un approccio organizzativo strategico che considera le persone come risorse fondamentali per il successo aziendale e, riconoscendo in esse l’esistenza di diversità, sostiene che una loro gestione diversificata, efficace, efficiente ed equa, impostata riconoscendo, rispettando, valorizzando e integrando le diversità delle persone, permette alle aziende di raggiungere migliori risultati in termini economici, di competitività e di immagine”.

 

Diversity: eguaglianza o equità?

Come diceva Don Milani l’eguaglianza è un concetto decisamente diverso da quello di equità.

Nel definire il diversity management bisogna quindi porre molta attenzione a non interpretarlo come un mero agire in nome di una retorica dell’uguaglianza, che diventa di per se discriminante.

Probabilmente molto più semplice e salomonico, il gestire il personale secondo il criterio dell’uguaglianza finisce per appiattire verso il basso le prestazioni e la motivazioni.

Essere gestori equi implica un azione di osservazione, analisi, conoscenza all’interno di una strategia che vede nelle persone un vero asset strategico dell’azienda.

L’obiettivo è ovviamente avere risultati competitivamente più vantaggiosi. Il risultato annesso è un cambiamento in termini di cultura che porta le persone al centro degli interessi aziendali, in virtù di una fondata consapevolezza del valore, troppo volte silente, che questo “patrimonio” fornisce al business.

Citare gli esperimenti di Elton Mayo, l’effetto Hawthorne, ci riporta parecchio indietro nel tempo, ma ci è sufficiente per affermare che l’attenzione verso le persone, ai talenti di cui sono portatrici, il rispetto per la loro “diversità, ma ancor più la valorizzazione della stessa, genera un aumento di produttività in virtù di un engagement solido.

Volutamene non parliamo di donne, uomini, junior o senior, italiani o stranieri.

Certamente questi sono fattori di diversity, ma non sono I FATTORI. Il rischio maggiore è quello di incasellare le persone in categorie che ne offuscano i reali elementi di diversità in cui è racchiuso il loro valore aggiunto.

I fattori sono quelli che porta la persona e al di là di ogni intento edulcorato e, ripetiamo, retorico e porre attenzione a questo fa una considerevole differenza per l’azienda e per la società.

Ben se ne accorto Amrtya Sen in “Identità e violenza” che  parla della più grande organizzazione che esiste da sempre: l’umanità.

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