Formazione aziendale, lo stato dell’arte in Italia

La formazione si configura sempre più come un asset strategico per affrontare le sfide del mercato. Qual è la situazione in Italia? I risultati del XVIII Rapporto sulla Formazione Continua realizzato dall’ANPAL

formazione aziendale

Sempre più la formazione aziendale diventa un asset strategico fondamentale per permettere alle aziende di affrontare le sfide del mercato globale e rimanere al passo con i tempi. Da qui a pochi anni cambieranno più di un terzo delle competenze richieste e considerate importanti oggi, alcuni lavori spariranno, altri cresceranno e nasceranno nuove figure professionali che attualmente non esistono. Quel che è certo è che la forza lavoro avrà bisogno di aggiornare il proprio set di competenze per tenere il passo.

 

Se questo è lo scenario, a che punto è la formazione aziendale in Italia e cosa si sta facendo per innervare nel tessuto produttivo le abilità richieste dai mercati globali?

A dare il quadro di insieme è il XVIII Rapporto sulla Formazione Continua realizzato dall’ANPAL – l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro – che analizza le politiche a supporto della formazione dei lavoratori e delle imprese, finanziate in primo luogo dai Fondi paritetici interprofessionali e dalle Regioni.

Lo studio restituisce un quadro tutto sommato incoraggiante, con un complessivo incremento di partecipazione alle attività formative rispetto al passato. Anche se l’Italia rimane indietro rispetto ad altri Paesi (in particolare quelli scandinavi e nordeuropei) e sotto la media europea del 10,8%, gli adulti in età attiva che nel 2016 hanno dichiarato di aver preso parte a una qualsiasi attività formativa o educativa sono stati l’8,3% della popolazione in età compresa tra 25 e 64 anni di età, mentre erano il 7,3% nel 2015.

Cresce anche la consapevolezza da parte delle imprese del carattere strategico della formazione per il miglioramento della competitività aziendale. Sebbene l’Italia non si collochi ancora ai primi posti nella graduatoria dei Paesi dell’Unione Europea (EU28), si assiste a una continua crescita e diffusione delle pratiche formative all’interno del tessuto produttivo. Aumenta, infatti, il numero delle imprese con più di 10 addetti che hanno svolto una o più attività di formazione, con un tasso di incidenza che è passato dal  55,6% del 2010 al 60,2% del 2015. E se la propensione alla formazione risulta ancora fortemente correlata alla dimensione d’impresa, con le aziende più piccole tradizionalmente poco inclini a investire in formazione, è proprio in questo segmento che si registra il maggiore incremento di imprese formatrici. In particolare, la crescita più elevata si ha per le imprese da 10 a 249 addetti: circa 4/5 punti percentuali in più rispetto al 2010.

Il rapporto testimonia, inoltre, il ruolo centrale dei Fondi Interprofessionali, che si confermano la principale fonte di finanziamento della formazione per i lavoratori in Italia. Le imprese aderenti ai fondi arrivano a quasi 950 mila e i lavoratori del settore privato che beneficiano di piani formativi da essi finanziati sono oltre 10,6 milioni.

 

E per quel che riguarda i manager?

La formazione è una leva fondamentale anche per la riqualificazione e lo sviluppo delle competenze strategiche del management, perché il mercato chiede sempre più dirigenti capaci di visione e attenti al cambiamento.

Ecco perché ASFOR – Associazione Italiana per la Formazione Manageriale – e CFMT – Centro Formazione Management del Terziario – hanno realizzato un’indagine  finalizzata a fotografare la situazione della formazione dei manager nelle imprese italiane e a individuare i trend per il futuro. Lo studio, “Osservatorio Managerial Learning 2017”, ha evidenziato come il 65% delle imprese attribuisca alla formazione un ruolo rilevante di supporto alle strategie e al cambiamento. La velocità e la trasversalità del mutamento che investe le imprese sollecitano nuovi stili e profili di leadership: sono necessari nuovi approcci mentali, rivolti alla tecnologia e al digitale, e nuove competenze.

I manager del futuro dovranno dimostrare maggior capacità imprenditoriali, di elaborazione e condivisione degli obiettivi, di riconoscimento e promozione del cambiamento, di gestione di team e integrazione generazionale, di collaborazione. Emergono dunque con chiarezza i principali driver di contenuto per la formazione del management del futuro prossimo, ovvero lo sviluppo della leadership (riconosciuta dall’85% dei rispondenti), l’innovazione e l’approccio strutturato al cambiamento (che ottiene l’81% dei consensi), la gestione e valorizzazione dei collaboratori, l’interazione del cliente con l’azienda e skills manageriali di base.

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