Gender pay gap e trasparenza salariale: cosa dicono le nuove norme UE

Il Parlamento europeo ha approvato le nuove norme UE contro il gender pay gap: stop ad annunci discriminatori e al segreto salariale. I datori di lavoro dovranno dichiarare il livello retributivo prima dell’assunzione per legge. L’Italia dovrà recepire la norma entro il 7 giugno del 2026.

Gender Pay Gap

Stop al segreto salariale, obbligo di intervento per la parità retributiva e sanzioni mirate in caso di violazione. Sono gli aspetti salienti delle nuove norme UE contro il gender pay gap, che il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva lo scorso 30 marzo 2023 ed entra in vigore in questi giorni di fine estate 2023.
L’Italia dovrà recepirla entro il 7 giugno del 2026.

Nei Paesi dell’Unione Europea, nonostante la parità di retribuzione sia già sancita dall’articolo 157 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, secondo dati Eurostat di fine 2021 gli stipendi delle dipendenti donne risultano in media ancora più bassi del 13% rispetto a quelli degli uomini.

Cosa cambia con le nuove norme UE sul gender pay gap

La nuova legislatura europea sul gender pay gap impone alle imprese UE di basare i compensi su criteri neutrali rispetto al genere. Viene anche inserito l’obbligo di introdurre sistemi di classificazione professionale che non tengano conto delle differenze di genere, così come neutri da questo punto di vista dovranno essere anche la descrizione delle posizioni lavorative, le offerte di lavoro e i processi di assunzione.

Nell’ambito di applicazione delle nuove norme ricadono tra l’altro per la prima volta, la discriminazione intersezionale e i diritti delle persone non binarie.

Trasparenza salariale

Un’importante novità introdotta dalla nuova legge europea è quella che riguarda il divieto del segreto salariale. Nei contratti non saranno, infatti, più ammesse clausole che impongono la privacy sulla retribuzione ai lavoratori. Nell’ottica di agevolare il riconoscimento delle disparità, i dipendenti avranno, quindi, il diritto di chiedere e ricevere informazioni chiare e complete sui livelli retributivi individuali e medi, suddivisi per genere, senza che le buste paga possano essere più coperte da segretezza.

Obbligo di intervento e sanzioni

Ai datori di lavori sarà imposto di rivalutare i compensi nel caso, dalla dichiarazione sulle retribuzioni obbligatoria per aziende pubbliche e private, emergesse un gender pay gap di almeno il 5% senza giustificazioni. A questo proposito, gli Stati membri dell’Unione europea dovranno introdurre sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, ad esempio ammende, per i datori di lavoro che non rispettano le regole, a cominciare dal risarcimento.

Onere della prova

Infine, l’onere della prova passerà dal lavoratore al datore di lavoro. Questo significa che sarà quest’ultimo a essere chiamato in tribunale per dimostrare l’assenza di discriminazione nel caso un lavoratore ritenesse non applicato il principio di parità di retribuzione.

Gender pay gap in sintesi

Se la discriminazione retributiva è un aspetto fondamentale, va ricordato che il gender pay gap si rifà a un concetto più ampio che prende in considerazione diverse disuguaglianze di genere nel mondo del lavoro, come:

  • la sovra rappresentazione delle donne in settori poco retributivi come l’assistenza, la sanità e l’istruzione, a cui è legato il 24% del divario retributivo;
  • il lavoro non retribuito: dipendenti donne dedicano più ore degli uomini al lavoro non retribuito, un aspetto che si discute anche sul piano della ripartizione dei congedi parentali, oltre che su quello dell’offerta pubblica di servizi per l’infanzia e di politiche adeguate sulla flessibilità dell’orario di lavoro per evitare discriminazioni quando si tratta di scelte per la carriera;
  • la differenza nella leadership: la leadership femminile si ferma a percentuali molto più basse rispetto a quella maschile. Solo l’8% degli amministratori delegati delle aziende europee più importanti sono donne e tra i dirigenti, le donne percepiscono in media il 23% di retribuzione in meno rispetto agli uomini.

Gender pay gap in Europa e in Italia

I dati sul gender pay gap permettono di inquadrare meglio il fenomeno a livello europeo e italiano. Per esempio, la fotografia di Eurostat sul gender pay gap mostra molte differenze tra i Paesi dell’Unione europea e – su un divario medio di 12,7% – si va dal 20,5% in Estonia al -0,2% del Lussemburgo. In questo contesto, l’Italia si attesta su una disparità del 5%.

La società di consulenza finanziaria Blacktower ha, invece, analizzato la differenza salariale in rapporto al costo della vita in 29 Paesi europei. L’Italia è al sesto posto della classifica stilata, con il quarto divario retributivo di genere più basso, pari al 4,2%, ma un costo della vita meno accessibile, pari a 755,38 euro mensili.

Dal Gender Policies Report 2022 dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) è infine emerso come esistano differenze tra uomini e donne anche sul tema della conciliazione vita-lavoro. In particolare, in Italia sono le lavoratrici laureate a godere di meno flessibilità rispetto alla media degli altri Paesi europei e, in generale, nel 76% dei casi a decidere gli orari di lavoro è il solo datore di lavoro, contro una media UE del 57%.

Stop al segreto salariale, obbligo di intervento per la parità retributiva e sanzioni mirate in caso di violazione. Sono gli aspetti salienti delle nuove norme UE contro il gender pay gap, che il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva il 30 marzo 2023.

 Nei Paesi dell’Unione Europea, nonostante la parità di retribuzione sia già sancita dall’articolo 157 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, secondo dati Eurostat di fine 2021 gli stipendi delle dipendenti donne risultano in media ancora più bassi del 13% rispetto a quelli degli uomini.

Cosa cambia con le nuove norme UE sul gender pay gap

La nuova legislatura europea sul gender pay gap impone alle imprese UE di basare i compensi su criteri neutrali rispetto al genere. Viene anche inserito l’obbligo di introdurre sistemi di classificazione professionale che non tengano conto delle differenze di genere, così come neutri da questo punto di vista dovranno essere anche la descrizione delle posizioni lavorative, le offerte di lavoro e i processi di assunzione.

Nell’ambito di applicazione delle nuove norme ricadono tra l’altro per la prima volta, la discriminazione intersezionale e i diritti delle persone non binarie.

Trasparenza salariale

Un’importante novità introdotta dalla nuova legge europea è quella che riguarda il divieto del segreto salariale. Nei contratti non saranno, infatti, più ammesse clausole che impongono la privacy sulla retribuzione ai lavoratori. Nell’ottica di agevolare il riconoscimento delle disparità, i dipendenti avranno, quindi, il diritto di chiedere e ricevere informazioni chiare e complete sui livelli retributivi individuali e medi, suddivisi per genere, senza che le buste paga possano essere più coperte da segretezza.

Obbligo di intervento e sanzioni

Ai datori di lavori sarà imposto di rivalutare i compensi nel caso, dalla dichiarazione sulle retribuzioni obbligatoria per aziende pubbliche e private, emergesse un gender pay gap di almeno il 5% senza giustificazioni. A questo proposito, gli Stati membri dell’Unione europea dovranno introdurre sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, ad esempio ammende, per i datori di lavoro che non rispettano le regole, a cominciare dal risarcimento.

Onere della prova

Infine, l’onere della prova passerà dal lavoratore al datore di lavoro. Questo significa che sarà quest’ultimo a essere chiamato in tribunale per dimostrare l’assenza di discriminazione nel caso un lavoratore ritenesse non applicato il principio di parità di retribuzione.

Gender pay gap in sintesi

Se la discriminazione retributiva è un aspetto fondamentale, va ricordato che il gender pay gap si rifà a un concetto più ampio che prende in considerazione diverse disuguaglianze di genere nel mondo del lavoro, come:

  • la sovra rappresentazione delle donne in settori poco retributivi come l’assistenza, la sanità e l’istruzione, a cui è legato il 24% del divario retributivo;
  • il lavoro non retribuito: dipendenti donne dedicano più ore degli uomini al lavoro non retribuito, un aspetto che si discute anche sul piano della ripartizione dei congedi parentali, oltre che su quello dell’offerta pubblica di servizi per l’infanzia e di politiche adeguate sulla flessibilità dell’orario di lavoro per evitare discriminazioni quando si tratta di scelte per la carriera;
  • la differenza nella leadership: la leadership femminile si ferma a percentuali molto più basse rispetto a quella maschile. Solo l’8% degli amministratori delegati delle aziende europee più importanti sono donne e tra i dirigenti, le donne percepiscono in media il 23% di retribuzione in meno rispetto agli uomini.

Gender pay gap in Europa e in Italia

I dati sul gender pay gap permettono di inquadrare meglio il fenomeno a livello europeo e italiano. Per esempio, la fotografia di Eurostat sul gender pay gap mostra molte differenze tra i Paesi dell’Unione europea e – su un divario medio di 12,7% – si va dal 20,5% in Estonia al -0,2% del Lussemburgo. In questo contesto, l’Italia si attesta su una disparità del 5%.

La società di consulenza finanziaria Blacktower ha, invece, analizzato la differenza salariale in rapporto al costo della vita in 29 Paesi europei. L’Italia è al sesto posto della classifica stilata, con il quarto divario retributivo di genere più basso, pari al 4,2%, ma un costo della vita meno accessibile, pari a 755,38 euro mensili.

Dal Gender Policies Report 2022 dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) è infine emerso come esistano differenze tra uomini e donne anche sul tema della conciliazione vita-lavoro. In particolare, in Italia sono le lavoratrici laureate a godere di meno flessibilità rispetto alla media degli altri Paesi europei e, in generale, nel 76% dei casi a decidere gli orari di lavoro è il solo datore di lavoro, contro una media UE del 57%.

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