Il binomio vita-lavoro al centro del nuovo patto tra impresa e lavoratore

L’analisi dei grandi cambiamenti nel mondo del lavoro e della società dopo la pandemia nel libro Purpose e leadership ibrida. Carteggio su organizzazioni, persone e società (Franco Angeli) di Paolo Iacci e Luca Solari. Un volume in cui si affronta il nuovo scenario con focus sulle nuove esigenze delle persone e delle imprese. Ne abbiamo parlato con uno degli autori, Paolo Iacci.

Paolo Iacci

Paolo Iacci e Luca Solari, tra i principali esperti del mondo del lavoro in Italia, hanno scelto la forma del carteggio per riflettere sui grandi cambiamenti interventi nel mondo del lavoro dopo la pandemia. Da qui nasce Purpose e leadership ibrida (Ed. Franco Angeli), un volume in cui si affrontano i grandi temi del nuovo scenario: investimenti in tecnologia, nuovi processi, competenze e tecniche manageriali più ampie, nuova domanda di benessere da parte delle persone a cui le imprese non riescono ancora a dare una risposta articolata e di cui le grandi dimissioni sono solo la punta dell’iceberg. Poi c’è il tema del purpose aziendale e della sostenibilità come ragion d’essere delle imprese si collega a quello di una nuova leadership che deve essere plurale e ibrida. A Paolo Iacci, presidente di Eca Italia e di AIDP Promotion, docente all’Università Statale di Milano e con una lunga esperienza manageriale in ambito Hr per imprese nazionali e multinazionali, abbiamo chiesto una riflessione sul libro e sui grandi cambiamenti in corso.

Iacci, ci può dare qualche highlights di come è cambiato il lavoro nel post pandemia?

Innanzitutto, è saltata la prima condizione del lavoro in azienda: l’unitarietà di tempo e spazio. Oggi si può fare impresa lavorando ovunque e in qualsiasi momento. Ovviamente sto estremizzando, perché non dobbiamo mai dimenticare che le aziende sono delle comunità che per vivere hanno bisogno di socialità attiva. È però vero che oggi la più grande azienda di trasporto automobilistico privato (Uber) non possiede neanche un’auto, che la prima azienda di locazioni al mondo (Airbnb) non possiede neanche un hotel, che la più grande azienda commerciale (Amazon) non possiede neanche un negozio, e potremmo continuare. Sono cambiate le strutture e le modalità del fare impresa. Il lavoro da remoto, inoltre, ha modificato il paradigma del rapporto gerarchico. Siamo passato da meccanismi di lavoro basati sul comando – controllo ad altri, fondati dal rapporto “fissazione obiettivi – monitoraggio dei risultati”. Questo implica molta più delega, maggiore responsabilizzazione, maggiore pianificazione, competenze molto più ampie e aggiornate, la necessità di una formazione continua per tutti i lavoratori, a qualsiasi livello della scala gerarchica. Per fare tutto questo è necessario un focus particolare sulle persone, la loro competenza, le loro motivazioni, il loro sentimento di appartenenza.

Quanta consapevolezza vede nelle imprese relativamente alla necessità di puntare sul benessere delle persone?

Già nel 2019 la Business Roundtable, l’associazione che coinvolge i 181 CEO delle principali imprese americane, aveva sancito, in un documento ufficiale, che il fine ultimo delle imprese non può essere unicamente la massimizzazione del profitto per gli investitori, ma deve tener conto dell’interesse di tutti gli stakeholder: dipendenti, fornitori, comunità locale, società civile, la salvaguardia del pianeta. Si parla, infatti, del superamento del capitalismo degli shareholder verso un capitalismo più inclusivo, che tenga conto dell’interesse di tutti. Il profitto rimane un elemento indispensabile ma non fine a se stesso. Deve essere volto alla continuità dell’impresa stessa. Questa “rivoluzione”, per dispiegare appieno i suoi effetti, avrà però bisogno di un certo periodo di tempo. Non si tratta di cambiare un pezzo ad una macchina, ma di dar vita a un processo di maturazione che non potrà essere semplice e lineare perché comporta il dare un nuovo senso e valore al lavoro e al “fare impresa”.

In ambito Hr, anche prima della pandemia, ci sono sempre state riflessioni sull’innovazione, sui nuovi modelli di lavoro, di leadership, sul wellness, sull’attrattività, sullo smart working… sono mode che fanno perdere di vista i fondamentali classici o cambiamenti strutturali?

Chi si occupa di gestione delle persone nelle organizzazioni deve affrontare nuove sfide epocali, sicuramente non transitorie. La tecnologia ha determinato grandi cambiamenti di carattere organizzativo. Si è modificato il senso e il valore ultimo del fare impresa. Ma questo non è tutto. Le persone stanno anche cambiando mindset. Il lavoro non è più al centro della loro vita. La pandemia ha portato ad una riflessione profonda sulle priorità della vita. Oggi vi è una reazione profonda alla mercificazione del lavoro e dei valori sociali. Occorre un nuovo patto psicologico, sociale e civile, tra lavoratore e impresa. Al centro di questo nuovo patto non ci può essere solo il lavoro, ma il binomio lavoro e vita. Questi due elementi non possono essere letti in antitesi, ma devono essere integrati tra loro, per rendere il lavoro più vivibile e la vita, personale e professionale, più produttiva, ma anche più sostenibile.

Quanto sono importanti purpose e leadership ibrida rispetto ad argomenti più tradizionali nell’impresa e nel lavoro?

Nel concreto occorre trovare nuove modalità di organizzazione e di gestione delle persone. I confini dell’azienda si sono fatti più labili e, invece, le forme contrattuali con cui le persone vengono organizzate, pagate e difese sono ancora le stesse di un tempo ormai tramontato. I capi devono imparare a gestire team virtuali, le persone devono abituarsi a una vita meno abitudinaria ed assai meno pianificabile. Un salto non piccolo.

Lei e il professor Luca Solari, docente all’Università di Milano e fondatore di OrgTech,  parlate di innovazione ma lo fate attraverso un “carteggio”, termine che sa di antico. Come è nata l’idea? Come si è sviluppato il lavoro e la collaborazione?

Io e Luca Solari ci siamo effettivamente mandati delle mail per scambiarci alcune riflessioni nel corso della pandemia. Da queste mail abbiamo estratto il meglio dei nostri pensieri. Il carteggio veniva usato quando ancora le Poste non esistevano, per cui mandarsi messaggi era cosa rara e costosa. Noi abbiamo cercato di fare un volume denso, ma al tempo stesso gradevole, leggero ma anche “prezioso”, non banale. Perché, mai come oggi, il tempo è prezioso.

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