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Il fenomeno delle dimissioni volontarie (great resignation) ed il c.d. patto di stabilità del rapporto di lavoro.

Negli ultimi tempi tanto, si è parlato del fenomeno delle dimissioni volontarie (anche detto Great Resignation). Le persone che hanno deciso di lasciare il proprio impiego nel 2021 hanno sfiorato i 2 milioni. 1,9 milioni le persone che si sono dimesse in Italia nel 2021. Ovvero il 18,2% di tutte le cessazioni dei contratti di lavoro (10,6 milioni). Ma nel 2022 la quota è cresciuta, raggiungendo il 19,5%.

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Uno degli strumenti che il datore di lavoro ha a disposizione, per garantirsi almeno parzialmente, un minore turn over della forza lavoro, è il c.d. patto di stabilità. Nel caso di contratto stipulato a tempo indeterminato, le parti possono inserire la clausola c.d. “di stabilità” con la quale si impegnano, per un termine minimo stabilito, a non recedere dal contratto. Si tratta di un istituto non disciplinato da una normativa specifica, ma, alcuni principi di regolamentazione di tale istituto, si trovano nelle pronunce giurisprudenziali e nell’interpretazione della dottrina. Se tale clausola viene stipulata contestualmente alla firma del contratto, in questo caso, si parla di “clausola di durata minima garantita”; se, invece, tale clausola viene pattuita in un momento successivo, e con accordo separato, si parla di “patto di stabilità”.

Con il patto di stabilità, si possono stipulare clausole a favore del dipendente, a favore del datore di lavoro, o a favore di entrambi. Nel caso di stipula della clausola (patto), a favore del dipendente per cui il datore di lavoro, per un certo periodo di tempo, si impegna a non licenziare il dipendente, fatto salvo il caso di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo. La clausola (patto) può essere stabilita a favore del datore di lavoro ed il dipendente si impegna a non dimettersi per il periodo concordato tra le parti. Se la clausola (patto) è stabilita a favore di entrambi, il datore di lavoro non può procedere al licenziamento per il periodo stabilito. Il patto di stabilità deve essere remunerato? Sì, e può consistere in una maggiorazione della retribuzione o in un’obbligazione non monetaria. Entrambe le parti possono recedere anticipatamente dal c.d. patto di stabilità, ma pagando una penale; se per il dipendente, è pacifico che dovranno essere retribuite le mensilità non lavorate fino alla fine del termine del patto, dal momento che per il datore di lavoro è sempre più difficile far valere i propri diritti, è opportuno che l’azienda nella predisposizione del patto di stabilità, quantifichi già il danno che verrà trattenuto al dipendente, in caso di recesso anticipato di quest’ultimo.

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