Il mondo del lavoro fotografato da Confindustria

Come ogni anno Confindustria svolge un’indagine sulle condizioni dell’occupazione nelle aziende associate: ecco cosa emerso dall’edizione 2023

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È composto da 3.458 aziende di diverse dimensioni e comparti differenti – per un totale di 813.307 lavoratori dipendenti a livello nazionale – il campione preso in esame dall’indagine Confindustria per l’edizione 2023 della sua indagine volta a fotografare il mondo del lavoro in Italia. Come per le precedenti edizioni, il questionario di quest’anno prevedeva domande relative agli orari e alle assenze dal lavoro, alla struttura e alla dinamica della manodopera occupata con diverse tipologie contrattuali e alle politiche aziendali di gestione del lavoro, con particolare riferimento alla contrattazione aziendale, alle competenze di difficile reperimento – e di conseguenza alle azioni intraprese per farvi fronte – e al capitale umano.  

Centrali anche le tematiche legate ai processi di ricambio generazionale della forza aziendale e quelle relative al lavoro agile, dalla sua diffusione a vantaggi e problematiche concrete del suo utilizzo.  

Cosa è emerso

Appare subito cruciale il problema dei talenti e del reperimento di personale da assumere: tra le imprese che hanno partecipato a questa 19esima edizione dell’indagine, infatti, il 58% dichiara di riscontrare difficoltà in tale ambito. Nel dettaglio, le problematiche sono presenti soprattutto per competenze e mansioni specifiche (complessivamente segnalate dal 45,8% delle imprese che hanno risposto) e per mansioni manuali e tecniche (nel 42,9% dei casi a livello nazionale e nel 51% dei casi se si considera solo l’industria). In un terzo dei casi (33,2%), inoltre, le difficoltà vengono riscontrate in modo diffuso e trasversale, non con riferimento a uno specifico ambito. La formazione sembra essere l’azione principale intrapresa per tamponare il problema: rivolta al personale interno nel 61,1% dei casi, sotto forma di programmi educativi sul territorio (ITS Academy, PCTO, tirocini curriculari, ecc.) per il 27,9% del totale delle imprese. 

Interessante è anche la percentuale relativa ai processi di ricambio generazionale della forza lavoro, che coinvolgono il 23,1% delle imprese intervistate, con una percentuale più alta della media nell’industria (24,5%) e nelle grandi imprese (35,3%). Apprendistato (scelto dal 53,2% delle imprese) e contratto a termine (41,7% delle imprese) sono tra le modalità di gestione degli ingressi più utilizzate mentre tra le modalità di accompagnamento all’uscita dei lavoratori più anziani, quelle più diffuse sono l’incentivazione all’esodo (28,4%) e il sistema delle “quote” (quota 100, 102 o 103; 19,7% degli intervistati). 

Tra gli altri elementi rilevati dall’indagine, emergono le ricadute della crisi energetica sulla forza lavoro impiegata in azienda nei primi mesi del 2023: nel complesso, l’82,1% delle imprese ha indicato di non registrare (al momento della risposta o in prospettiva) alcuna ricaduta rilevante sulla forza lavoro.  

Tra quelle che, invece, hanno segnalato una qualche ricaduta, oltre la metà ha indicato la revisione degli orari di lavoro e/o la riprogrammazione dei turni ai fini di un miglior efficientamento energetico (51,1% in media; 49,9% nell’industria e 52,6% nei servizi) e quasi un terzo (il 30,4%) ha indicato una diminuzione temporanea delle ore lavorate, per esempio tramite ricorso alla cassa integrazione, in particolare nell’industria (43,7%, mentre nei servizi questa quota è al 13%).
Infine, interessanti sono i dati relativi alla diffusione della contrattazione aziendale, che mostra percentuali più elevate se calcolata sulla base degli addetti: risultano occupati presso aziende che la applicano il 61,3% dei dipendenti nel campione complessivo e le materie regolate dal contratto aziendale, quando presente, sono principalmente i premi di risultato collettivi (nel 76,8% dei contratti), l’orario di lavoro (53%), la conversione dei premi di risultato in welfare (41,3%), l’offerta di servizi di welfare aggiuntivi (39,3%), il work-life balance (37,1%).  

Universo smart working 

Per quanto concerne invece il lavoro agile, i risultati dell’indagine indicano che più del 43% delle imprese intervistate ha utilizzato questa modalità di lavoro nel 2022. In particolare, questa quota si scorpora in un 21,1% di imprese che ha continuato a utilizzare solo il lavoro agile “di emergenza” (ovvero la “versione semplificata” prevista a partire dal 2020 con la pandemia) mentre il restante 22,1% ha introdotto il lavoro agile in via “strutturale” (secondo quanto disposto dalla legge 81/2017).  

In termini di individui in smart working, invece, sul totale dei lavoratori (non dirigenti) nelle imprese che lo hanno impiegato, il lavoro agile ha coinvolto mediamente il 35,9% dei dipendenti, percentuale che sale al 41,5% dei dipendenti nelle imprese che hanno anche disciplinato il lavoro agile in via strutturale. Per quanto concerne i vantaggi dell’utilizzo dello smart working, il 76,1% – oltre tre quarti – delle imprese che hanno partecipato all’indagine ne ha rilevato almeno uno: il 44,7% delle imprese rispondenti ha rilevato una migliore attrazione o retention delle risorse umane strategiche; il 42,1% una riduzione dell’assenteismo; quasi il 40% un aumento della produttività dei dipendenti attraverso una maggiore responsabilizzazione e l’orientamento al risultato; il 29,7% segnala il miglioramento dell’efficienza energetica e della sostenibilità dell’azienda; infine il  24,1% delle imprese partecipanti all’indagine segnala tra i vantaggi la riduzione dei costi aziendali legati alla gestione degli spazi.  

Non mancano tuttavia anche le problematiche legato allo smart working, riscontrate dal 30% circa delle imprese: ostacolo alla comunicazione tra il personale (59,1% delle imprese rispondenti) e minor senso di appartenenza da parte di chi usufruisce di tale modalità di lavoro (33,7%) sono i due aspetti negativi maggiormente sentiti.  

Ancora qualche dato

Dall’indagine di Confidustria emerge anche un dato rassicurante: l’occupazione è aumentata, trainata da quella femminile (+3,4%, rispetto al +2,4% di quella maschile). Nel corso del 2022, infatti, l’occupazione dipendente complessiva nelle imprese associate è aumentata del 2,6%. L’aumento coinvolge le imprese di ogni classe dimensionale – seppur in misura diversa – da quelle con meno di 15 dipendenti (+1,3%), a quelle con 16-99 dipendenti (+2,8%), via via fino a quelle con più di 100 dipendenti (+2,6%). Rispetto alla tipologia contrattuale, la crescita riguarda sia gli occupati dipendenti a tempo indeterminato (+2,5%) sia quelli a tempo determinato (+3,3%).

Rispetto al totale, l’occupazione a tempo indeterminato rimane la tipologia contrattuale più diffusa nelle imprese associate (92,3% del totale dei dipendenti), mentre gli occupati a tempo determinato rappresentano il 5,5% del totale.

Passando all’analisi del turnover del lavoro in entrata e in uscita, come nelle precedenti edizioni, anche quest’anno risulta più alto nei servizi 

Le imprese con turnover nullo (ovvero che non hanno registrato né entrate né uscite di personale) sono state il 23% del campione mentre il tasso di turnover complessivo (la somma di lavoratori assunti e cessati nel corso dell’anno sul totale dell’occupazione a fine 2020) è risultato pari al 37,7% nella media del campione analizzato.  

Il turnover è decisamente più alto nelle imprese dei servizi (53,1%) rispetto all’industria (27,9%) e incide soprattutto nelle imprese piccole (63,7% nelle imprese con meno di 15 addetti, mentre è al 39,2% e al 34,3% rispettivamente in quelle medie e grandi). Il turnover in entrata è pari al 20,1%, mentre quello in uscita è pari al 17,6%.  

Infine, merita un’occhiata il dato relativo al tasso di assenteismo: nel corso del 2022 le ore lavorabili pro-capite, al netto delle ore di Cassa Integrazione Guadagni, sono state mediamente pari a 1.701.  

Di queste, 126,5 non sono state lavorate a causa delle assenze dal lavoro (retribuite e non). Il tasso di assenteismo (calcolato come il rapporto tra le ore di assenza e le ore lavorabili) si è dunque attestato al 7,4% di media, arrivando all’8,1% nelle aziende con 100 e più addetti e scendendo invece al 5,1% in quelle fino a 15 dipendenti.

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