La crisi pandemica e i due volti del lavoro: dipendenti preoccupati, aziende ottimiste

La crisi pandemica e i due volti del lavoro: dipendenti preoccupati, aziende ottimiste

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Il domani fa paura ai lavoratori. Sono 9,4 milioni i dipendenti del settore privato preoccupati sul futuro della propria occupazione. In particolare, 4,6 milioni temono di andare incontro a una riduzione del reddito, 4,5 milioni prevedono di dover lavorare più di prima, 4,4 milioni hanno paura di perdere il posto e di ritrovarsi disoccupati, 3,6 milioni di essere costretti a cambiare lavoro. Gli operai spaventati sono 3 su 4. Del resto, nonostante il blocco dei licenziamenti stabilito per decreto, nel 2020 non sono stati rinnovati 393.000 contratti a termine. Sono alcuni dei principali risultati del quarto rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, realizzato in collaborazione con Eudaimon, leader nei servizi per il welfare aziendale, con il contributo di Credem, Edison e Michelin.

Lo studio è stato presentato da Francesco Maietta, responsabile dell’area Politiche sociali del Censis, e discusso da Alberto Perfumo, amministratore delegato di Eudaimon, Claudio Durigon, sottosegretario del Ministero dell’Economia e delle Finanze, Luigi Sbarra, segretario Generale della Cisl, Debora Serracchiani, presidente della commissione Lavoro pubblico e privato della Camera dei Deputati, e Massimiliano Valerii, direttore Generale del Censis.

Le aziende invece si dicono ottimiste e pronte alla feroce competizione nel dopo Covid. Al cupo orizzonte dei lavoratori si contrappone dunque la fiducia delle aziende. L’87% guarda con ottimismo la ripresa dopo l’emergenza. Voglia di fare (62,2%), speranza (33,7%) e coesione interna (30,1%) sono gli stati d’animo prevalenti tra i responsabili aziendali intervistati dal Censis. Il dopo sarà caratterizzato dalla corsa al recupero di fatturato e quote di mercato (76%) e dalla sfida della transizione digitale (36,2%). L’ottimismo delle aziende colpisce, visto che ben il 68,7% di esse ha registrato perdite di fatturato dopo il lockdown della scorsa primavera. Nonostante le straordinarie difficoltà, per il 62,2% dei responsabili aziendali le proprie imprese se la stanno cavando bene.

Per quanto riguarda invece l’impatto di nuovi modelli organizzativi, il lavoro da casa viene  apprezzato da chi lo pratica e temuto da chi non può permetterselo. Il 31,6% dei lavoratori ha sperimentato il lavoro da remoto: il 51,5% dei dirigenti, il 34,3% degli impiegati e il 12,3% degli operai. Sul lavoro a distanza vengono espressi giudizi contrastanti. Il 52,4% degli smartworker lo apprezza e vorrebbe che restasse anche in futuro, invece il 64,4% di chi lavora in presenza lo teme. Per il 37% degli smartworker il proprio lavoro è rimasto lo stesso di prima, per il 35,5% è peggiorato, per il 27,5% è migliorato. Ma per 4 lavoratori su 10 il lavoro da casa genera nuove disuguaglianze e divisioni in azienda.

Se fosse esteso a tutte le imprese del settore privato, il valore del welfare aziendale potrebbe arrivare a 53 miliardi di euro. Il beneficio per le aziende corrisponderebbe a 34 miliardi, tra vantaggi fiscali e possibili incrementi di produttività. Per il singolo lavoratore il beneficio sarebbe pari a quasi una mensilità in più all’anno, per un totale di 19 miliardi. Per l’87,2% delle aziende il welfare aziendale sarà sempre più importante in futuro: per il 52% perché migliorerà la coesione interna di organici sempre più diversificati nelle modalità di lavoro, per il 35,2% perché renderà disponibili servizi di welfare utili e strumenti di formazione per trasferire nuove competenze ai lavoratori. Più welfare aziendale, dicono le imprese. Più welfare aziendale, dicono i lavoratori. Il 77,4% di loro vuole che nella propria azienda venga potenziato, laddove esiste già, o introdotto, se ancora non è stato attivato (il dato sale all’83,1% tra i dirigenti, all’82,1% tra gli impiegati e scende al 61% tra gli operai).

«Il welfare aziendale è un elemento centrale della contrattazione collettiva, ed è fondamentale per aumentare il livello degli stipendi e l’efficienza delle aziende» ha sottolineato Durigon. «Serve un intervento forte del governo e del Parlamento, si deve capire che è uno dei punti salienti nella ripartenza, perché il Covid è un grandissimo spartiacque», ha aggiunto il sottosegretario, spiegando che «oggi lo smart working è troppo esposto: sono favorevole al lavoro agile ma ora è una formula condizionata all’abuso, con numeri che difficilmente resteranno tali nella ripresa».

Secondo Sbarra «il welfare aziendale è una formidabile opportunità per una crescita diffusa della nostra società, oltre che uno strumento di coesione sociale e di partecipazione dei lavoratori. Ma bisogna fare molto di più. Sono molto incoraggianti i dati della ricerca, una fotografia puntuale e aggiornata in un momento tanto difficile della storia nazionale – ha continuato il segretario Generale della Cisl – Una fase che ha accelerato la trasformazione del tessuto produttivo e sociale, determinando cambiamenti profondi, e per tanti versi irreversibili, nel nostro modo di intendere l’organizzazione del lavoro, le comunità produttive, i bisogni e le aspettative delle persone e delle loro famiglie».

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