«Leadership al femminile significa dare responsabilità e fiducia; la complessità attuale lo richiede»

Esiste una leadership al femminile – nel senso di un modo diverso di amministrare un’organizzazione – o è una narrazione in voga nell’epoca del gender correct? È un modello che si sta affermando nelle organizzazioni? Continua ciclo di interviste ad alcune delle più importanti manager italiane ai vertici di azienda, per indagare il contributo delle donne nelle posizioni di leadership e comprendere i cambiamenti in atto nelle organizzazioni – ma anche, di riflesso, nella società in senso più ampio, accendendo i riflettori su stereotipi, cambiamenti generazionali, ostacoli e non solo. Ne abbiamo parlato con Maria Emanuela Salati, Training, recruiting and welfare manager di ATM.

Maria Emanuela Salati recruiting and welfare manager di ATM

«Il tema della leadership al femminile è una questione di mindset, prima ancora che di genere». Ne è convinta Maria Emanuela Salati, responsabile Selezione, Formazione, Welfare Diversity & Inclusion in Atm, «un’azienda molto grande che conta quasi 11 mila persone e che quindi ha la possibilità e la responsabilità di generare cultura d’impresa, e quindi cultura del territorio».

Dottoressa Salati, quanto c’è di gender correct e quanto di sostanza?

«Secondo me non esiste tanto un una leadership femminile intesa come un aspetto legato al genere ma penso che si debba semmai parlare di posizionamento mentale e di mindset. Detto ciò, è vero che il cosiddetto modello di leadership femminile ha delle caratteristiche “più femminili”. Ed è vero, al contempo, che esiste un modello dominante con caratteristiche considerate più maschili. Temi come quello delle relazioni e delle reti di relazioni solidali all’interno dell’organizzazione sono, a mio parere, più vicini alle donne, che sono anche più propense all’etero centratura: ciò fa sì che siano particolarmente efficaci nella gestione delle persone e nel saper leggere e conciliare i bisogni dell’organizzazione e delle sue persone. Credo che queste siano tutte caratteristiche centrali di un nuovo modello di leadership che si fonda sulla responsabilità e sulla fiducia.  Essere capaci di responsabilizzare le persone per il ruolo che svolgono e anche rispetto alla messa a terra del loro potenziale è una caratteristica molto femminile. Occuparsi dell’altro significa, infatti, anche occuparsi dello sviluppo del suo potenziale. Le condizioni perché ciò avvenga sono lasciare spazio ad autonomia e fiducia, un po’ come si rendono autonomi i figli. Di fatto si tratta di sviluppare un modello di leadership responsabile e diffusa che si adatti alla complessità crescente che ci viene richiesto di gestire».

Secondo lei quanto le aziende sono disponibili in generale a fare questo passaggio?

«Credo che le difficoltà che abbiamo incontrato durante il periodo pandemico paradossalmente ci abbiano aiutato in questo senso. Lo smart working forzato ci ha dimostrato velocemente che le persone erano capaci di lavorare con senso di responsabilità per obiettivi, raggiungendo risultati, anche senza essere controllate in ufficio. Nonostante ciò, la strada è ancora lunga e occorre una ulteriore trasformazione di mindset». 

Qual è un’altra caratteristica della leadership al femminile?

«Credo quella della negoziazione, che secondo me è un tema chiave all’interno di tutte le relazioni organizzative. Il modello femminile prevede una negoziazione win-win perché le donne sono abituate a negoziare, non in modo dicotomico, ma avendo come obiettivo l’interesse di entrambe le parti. Interesse è un termine che viene dal latino e significa proprio stare nel mezzo. Ecco, trovare una conciliazione e una mediazione che in qualche modo valorizzi le posizioni dei vari interlocutori è una caratteristica femminile: si tratta di una negoziazione non conflittuale, in cui non devono esserci per forza un vincitore e un sottomesso. Tutto questo ragionamento mi porta a sostenere che la leadership femminile è caratterizzata da un approccio al potere che non punta all’affermazione personale, ma alla realizzazione di un bene comune. E l’organizzazione, in quest’ottica, è un bene comune; le logiche sono collaborative e non conflittuali: l’obiettivo di performance dell’organizzazione si raggiunge attraverso il benessere delle persone che vivono al suo interno. È importante, quindi, costruire reti solidali, non solo tra donne, ma anche con gli uomini». 

Cosa significa?

«Bisogna fare tutti e tutte uno sforzo di autoconsapevolezza, donne e uomini compresi, ogni qual volta si viene posti di fronte ad una promozione».

Le donne Sono più autocritiche?

«Lo sono molto; a differenza degli uomini.. Lo vediamo dai corsi sulla leadership che organizziamo in azienda, dove l’obiettivo è proprio quello di supportare le nostre persone  nel co-creare un modello manageriale di leadership al femminile, che sia integrato e sostenibile nel tempo.».

Il linguaggio serve a sostenere il cambiamento di mindset?

«Il linguaggio ha un grande potere, a mio avviso: occorre lavorare su un nuovo linguaggio dove le parole “cura”, “vocazione”, “affettività” hanno un ruolo. Il linguaggio, poi, è fondamentale per tutto ciò che riguarda la diversity: siamo pieni di bias, spesso offensivi».

Qual è lo stato dell’arte, oggi, dal punto di vista dell’occupazione femminile nelle aziende?

«Durante la pandemia purtroppo siamo andati indietro, l’occupazione ne ha risentito: l’abbiamo visto anche nella nostra azienda, nonostante tutti gli sforzi fatti in senso contrario; adesso stiamo recuperando. Noi stiamo facendo passi avanti, come Azienda, pur essendo caratterizzati da un business che da sempre ha una connotazione prevalentemente maschile. È una sfida quotidiana: stiamo riuscendo a incrementare ulteriormente la presenza femminile e adesso siamo circa al 9% come gruppo, ma è ancora una percentuale molto bassa. Il nostro impegno per migliorare il gender balance è però costante: abbiamo fatto campagne di recruiting solo al femminile e abbiamo in corso una tranche di assunzioni molto importante che riguarderà quasi 700 persone entro la fine dell’anno. Ne abbiamo assunte già 350. Il calo di candidature è significativo, mai riscontrato prima, a fronte di un’offerta molto importante. Così abbiamo stipulato degli accordi in tutta Italia per il conseguimento della CQC persone (carta di qualificazione del conducente). Ci siamo inoltre concentrati sul recruiting al femminile con delle azioni di comunicazione dove le donne raccontano le loro esperienze al lavoro, come conducenti, ma anche in ruoli tecnici specializzati o ingegneristici. Così abbiamo alzato la percentuale, ma c’è ancora molto da fare soprattutto perché le discipline Stem non sono ancora particolarmente scelte dalle donne».

Oltre tutto, il fatto che la pandemia abbia allontanato le donne dal lavoro ha fatto emergere con chiarezza che il lavoro di cura è ancora prevalentemente femminile e non suddiviso…

«I servizi che favoriscono la conciliazione dei tempi di lavoro e di vita, il supporto della maternità e alla genitorialità possono essere la chiave di volta.  Abbiamo tre asili nido all’interno dei depositi e li abbiamo aperti anche ai nipoti dei nonni che lavorano da noi. Importanti però anche i servizi di counseling e di supporto per il caregiving. Con lo sportello di counseling raggiungiamo i 2500 colloqui all’anno: così si intercettano necessità e istanze per poi trovare soluzioni internamente o sul territorio. Ci siamo anche concentrati sull’educazione finanziaria a supporto soprattutto delle donne, che vivono dai 5 ai 7 anni in più rispetto agli uomini, per dargli supporto in ottica preventiva, tutelare il loro capitale sociale ed economico. Poi c’è il tema della salute, ovviamente: anche in questo caso un focus particolare è al femminile, così da poter aiutare le donne con la prevenzione, con i cambiamenti conseguenti all’età. Cruciale il supporto dal punto di vista delle competenze, senza il cui rafforzamento non si può restare attivi ed efficaci nel mondo del lavoro. Per tutte queste iniziative abbiamo di recente vinto anche il premio Bellisario nella categoria work life balance friendly, una sezione dedicata alle aziende che adottano buone prassi di benessere e di D&I. Atm, infine, negli ultimi anni, sempre di più, ha incrementato il proprio impegno nella promozione dell’inclusività: abbiamo lavorato sul sistema di governance, considerando i temi della diversità e dell’inclusione dei driver principali. Abbiamo inserito una consigliera di fiducia e curato la comunicazione per sensibilizzare e informare sia all’interno che all’esterno.».

In che modo?

«Con diversi progetti di comunicazione. Ad esempio, una campagna molto interessante, diffusa sia internamente sia sui mezzi e alle fermate, è incentrata sulla diversity e sull’inclusion ed è chiamata “La diversità ci rende unici”. A parlare erano le nostre persone: tecnici, conducenti, operai. Attualmente in giro per la città si può trovare la campagna “E tu che ne sai?” con un QR code che rimanda un sito creato ad hoc dove si trovano le risposte ad alcune domande legate al mondo LGBTQIA+. Abbiamo intervistato donne e mamme di Atm, ironizzando sui ruoli che per anni nello scenario comune sono stati attribuiti agli uomini, perché raccontassero la loro esperienza, avviato webinar che spiegassero di quali stereotipi si può essere vittime, inconsapevolmente. Stiamo poi, individuando venti ambasciatrici donne che facciano da influencer interne per fare emergere i temi della diversità e della leadership al femminile.

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