Certificazione della parità di genere al via, ma l’Italia è ancora fanalino di coda a livello globale per gender gap, molto dopo Spagna, Francia e Germania

Italia 63esima su 146 paesi quanto a gender gap, subito dopo Uganda e Zambia. Lo dice il Global Gender Gap Index 2022 del World Economic Forum, il rapporto che valuta il livello di parità tra uomini e donne in diversi ambiti e paesi. Nel frattempo, per le imprese pubbliche e private che occupano più di 50 dipendenti, si avvicina la scadenza – fissata al 30 settembre 2022 – per la pubblicazione del rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile, mentre diventa operativa la certificazione della parità di genere.

parità di genere

L’Italia è 63esima su 146 paesi sul divario di genere, secondo il  Global Gender Gap Index 2022 del World Economic Forum, il rapporto che misura il raggiungimento degli obiettivi di parità tra uomini e donne in diversi campi: la partecipazione economica, il livello di istruzione, la salute e la partecipazione politica.

46 posizioni distanziano l’Italia dalla Spagna (che è diciassettesima), 48 dalla Francia e 53 dalla Germania. Rispetto al 2021, l’Italia ha migliorato il suo punteggio globale di 0,001 e nella classifica rimane subito dopo Uganda e Zambia e appena prima della Tanzania.

Male il dato sulla partecipazione economica, che comprende tasso di partecipazione al mondo del lavoro, divario retributivo di genere, reddito da lavoro stimato, presenza delle donne tra funzionari, legislatori, alti dirigenti e professioni ad alta specializzazione. Il nostro paese passa dalla posizione 114 alla 110, con un miglioramento minimo di 0,003 punti. Su questo fronte, l’Italia resta al fondo anche della classifica regionale europea, insieme a Macedonia del Nord e Bosnia Erzegovina.

A livello generale, l’Europa ha il secondo livello più alto per parità di genere (76,6%), con un miglioramento di 0,2 punti percentuali rispetto al 2021 e un tempo calcolato di 60 anni per colmare il divario. Alle prime posizioni ci sono Islanda, Finlandia e Norvegia. Venticinquesima su 35 l’Italia, seguita da Repubblica Slovacca, Macedonia del Nord, Bosnia ed Erzegovina, Repubblica Ceca, Polonia, Malta, Ungheria, Romania, Cipro e Grecia. Tra i paesi europei migliorati di più: Albania, Islanda e Lussemburgo.

Secondo il rapporto, per ridurre il divario di genere nel mondo ci vorranno altri 132 anni. Quattro in meno rispetto al 2021, quando erano 136: un progresso però troppo lento per recuperare la battuta d’arresto della pandemia di Covid-19, che ha riportato indietro la parità di genere di una generazione.

Cosa fa l’Italia: il rapporto sulla situazione del personale

Il Codice di pari opportunità dal 2006, modificato dalla legge 162 del 2021, prevede che le aziende pubbliche e private che occupano più di cinquanta dipendenti redigano, con cadenza biennale, un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile. Il decreto ministeriale del marzo 2022 definisce le modalità con cui farlo: il documento 2020-2021 deve essere redatto in modalità esclusivamente telematica tramite il nuovo applicativo informatico disponibile sul portale Servizi Lavoro, per quest’anno entro il 30 settembre. Per i bienni successivi, invece, il termine di trasmissione sarà il 30 aprile dell’anno successivo alla scadenza del biennio stesso. La mancata trasmissione – anche dopo l’invito alla regolarizzazione da parte dell’Ispettorato del Lavoro competente per territorio – comporta l’applicazione di sanzioni.

La certificazione della parità di genere

Per incentivare le imprese ad adottare policy mirate a ridurre il gap di genere, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (nella missione 5, coesione e inclusione, politiche per il lavoro) prevede la possibilità di richiedere la Certificazione della parità di genere, che attesterà l’impegno dell’azienda su tematiche quali le opportunità di crescita per le donne all’interno dell’organizzazione, la parità salariale a parità di mansioni, la gestione delle differenze di genere, la tutela della maternità. Le imprese certificate – come previsto dalla legge quadro 162/2021 – avranno diritto a contributi previdenziali scontati dell’1% (fino a 50mila euro per azienda nel 2022), punteggi maggiorati negli appalti pubblici, vantaggi reputazionali e più attrattività nei confronti dei lavoratori.

Come ottenere la certificazione: gli indicatori della parità

Il Dpcm del 29 aprile 2022, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 1° luglio, ha fissato i parametri in base ai quali le aziende potranno avere la certificazione. Si tratta di specifici Kpi, suddivisi in sei aree, a ciascuna delle quali è associato un punteggio:

  • cultura e strategia,
  • governance,
  • processi HR,
  • opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda,
  • equità remunerativa per genere,
  • tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro.

Per avere la certificazione – che al momento potrà essere rilasciata solo da Bureau Veritas Italia Spa, Dnv Business assurance Italy Srl e Rina Services Spa, anche se seguiranno altri accreditamenti – l’azienda dovrà raggiungere uno score minimo del 60 per cento.

Le micro-aziende (da 1 a 9 addetti) e le piccole (da 10 a 49 addetti) saranno monitorate solo in relazione ad alcuni obiettivi, con una differenziazione rispetto alle medie imprese (50-249 addetti) e alle grandi (250 addetti e oltre).

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