Parità di genere: “Necessario accelerare il processo per l’ingresso nei ruoli decisionali”

Maurizia Iachino, corporate governance advisor e presidente di Fuori Quota, spiega perché c’è innovazione laddove c’è diversità. E aggiunge: “La difficoltà di conciliare lavoro e famiglia va superata e le donne capaci devono essere sostenute”

I dati riferiti da numerose ricerche rivelano senz’altro un incremento positivo della presenza di donne nei board, ma si tratta di “numeri ancora poco significativi da un punto di vista generale, perché nelle posizioni apicali siamo ancora a poco più del 25%: è necessario dunque accelerare il processo”.

Ne è convinta Maurizia Iachino, Corporate governance advisor, Family business advisor, Career counselor, Presidente dell’associazione Fuori Quota e membro del board di Valore D, che riflette sulle strategie per raggiungere questo risultato.

Oggi sappiamo che le laureate superano numericamente i laureati, ma guadagnano in media il 16 % in meno degli uomini; inoltre, le donne rappresentano appena l’8 % degli amministratori delegati nelle principali imprese dell’Ue.

Insomma, siamo ancora distanti da uguaglianza e parità…

È necessario che i numeri abbiano un’accelerata. Ursula van der Leyen (presidente della Commissione europea, ndr) ha rilanciato pochi giorni fa la proposta di legge finalizzata a introdurre parità di genere nei ruoli decisionali. Ben venga questa posizione europea, che può avere un’importante forza di trascinamento. Ma come si fa ad accelerare?

Ecco, come si fa dal suo punto di vista?

Il processo è irreversibile ma è lento, ed è un errore perché si tratta di una richiesta legittima, da un lato stabilita dalla Costituzione, dall’altro dal fatto che ormai è provato che velocizzare questo processo è utile e necessario. A tal proposito mi piace citare una ricerca sulla leadership effettuata da Bcg, Boston consulting group, che offre una lettura molto interessante. L’analisi è partita con le aziende di lingua tedesca, attraverso un questionario è stato chiesto a che punto si trovassero con la diversity. Ne è emerso è che i team diversi sono i più innovativi. E le aziende interrogate lo hanno dimostrato in modo concreto, a partire dall’uscita di nuovi prodotti che hanno fatto crescere il loro fatturato. Considerando poi che in Germania, ad esempio, sono più indietro dell’Italia per la presenza di donne nei board, il risultato si è rivelato interessante. Quando è stato chiesto alle aziende di quale diversità si trattasse nello specifico, è emerso che veniva considerata soprattutto la differenza di genere. Si è anche constatato che i team più diversificati si collocano soprattutto nei livelli inferiori al management e che, quindi, il problema resta nelle leadership. Ricordiamo che in alcuni paesi siamo sotto al 15%…

Lo scoglio, insomma, è la leadership?

Purtroppo, anche in Italia, il livello di educazione notevolmente salito ­– sono sempre di più le donne istruite – non si riflette al livello della leadership. Se le donne ci sono, e sono preparate, le ragioni per cui sono poco presenti nei ruoli apicali e decisionali sono altre, e spesso coincidono con un rallentamento nella loro promozione, perché talvolta si tirano indietro anche a causa della difficoltà di conciliare il ruolo con la famiglia. Questa però non può più essere una giustificazione.

Cosa si può fare, quindi?

Innanzi tutto è necessario migliorare i sistemi di valutazione e selezione, modificando i parametri di scelta e i criteri di giudizio. Oltre tutto, ad oggi, le selezioni nelle società partecipate sono fatte prevalentemente da uomini. È importante che le donne incidano sempre di più sulle decisioni quando si sta assumendo qualcuno, quando si promuove. Nel momento clou, in cui il candidato passa o non passa, bisogna avere attenzione spasmodica a premiare il merito e anche la parità di genere. Adottando alcuni criteri, è un traguardo che si può e si deve raggiungere.

Sono necessarie nuove leggi?

Le leggi ovviamente ci vogliono, ma bisogna anche andare a fondo. Fuori Quota è un’associazione nata da gruppo di donne che ricoprono posizioni di influenza proprio per aiutare le donne che vengono dopo di noi: possiamo spingere perché questi cambiamenti avvengano e per dare una mano a professioniste preparate e pronte per la leadership.

Può fare degli esempi?

Abbiamo fatto azione di lobby affinché nel codice di autodisciplina delle società quotate sia inserita la raccomandazione della piena parità di genere anche nei board, nonostante la Legge Golfo-Mosca non lo prevedesse. Lo scorso anno abbiamo fornito alle società quotate un documento che proponeva l’adozione della parità di genere nello statuto stesso dei board, proprio per intervenire nel dna delle aziende. Infine, abbiamo lavorato a un documento chiamato “Policy di genere”. Lo proponiamo come oggetto di discussione nei Cda per ragionare, ad esempio, su come rendere più facile la vita alle donne in azienda, ma anche come favorirne l’entrata. Accade che al secondo figlio mollino, o rifiutino la promozione perché sentono di non riuscire a gestire tutto. Insomma cerchiamo di agire, ma non siamo un reggimento… Fondamentale è che la parità di genere non sia più un tema dibattuto solo tra donne; deve diventare un tema costitutivo, dibattuto a livello di Cda, dove risiede la compagine che ha potere di scelta. Le donne non mancano, sono istruite: sono certa che in tante abbiano capacità di leadership.

Esiste una leadership maschile e una femminile?

Sono sempre più convinta che la leadership autoritaria non esista più e che sia necessario integrare soft skills. Anche gli uomini devono sempre più curare questo aspetto. Diversità di genere nelle aziende e diversità di competenze e atteggiamenti nei singoli individui.

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