Coinvolgere per crescere: strumenti e prospettive per la partecipazione dei lavoratori nelle aziende

La partecipazione dei lavoratori apre nuove prospettive per imprese più eque e collaborative: a spiegarlo è Roberto Ferrari, Responsabile HR Solutions e Direttore del Master HR ISMO

Master ISMO

La partecipazione dei lavoratori nelle aziende sta diventando una leva strategica per le imprese. Coinvolgere attivamente le persone significa valorizzare competenze, migliorare il clima aziendale e creare spazi di collaborazione reale. Dalle commissioni paritetiche ai gruppi di lavoro interfunzionali, i modelli già in campo mostrano come il contributo dei lavoratori possa incidere su processi, performance e relazioni.

Ne abbiamo parlato con Roberto Ferrari, Responsabile dell’Area HR Solutions ISMO e Direttore del Master HR ISMO giunto alla 32esima edizione, per capire quali strumenti e prospettive stanno prendendo forma nelle organizzazioni.

Perché la partecipazione nei luoghi di lavoro è importante?

“La partecipazione è davvero per tutti: non distingue per fascia d’età, reddito o ruolo all’interno delle organizzazioni.

I padri costituenti avevano scritto l’articolo 46 della Costituzione italiana, che valorizza il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione delle imprese, chiamato allora “collaborazione”. Nel 1948 questa impostazione non era certo rivoluzionaria: nella ricostruzione ciò che contava era decidere, fare, operare, quindi forse era difficile far partecipare. È un salto importante rispetto all’idea che il lavoratore fosse un numero o che fosse spaesato all’interno delle imprese”.

Quali strumenti e modelli consentono la partecipazione?

“Alcuni contratti collettivi, come quello dei metalmeccanici, riconoscono l’importanza dei meccanismi partecipativi. Tra questi ci sono le commissioni paritetico-bilaterali: gruppi che non decidono, ma si consultano, analizzano e approfondiscono aspetti della vita organizzativa — formazione, inquadramento, sicurezza e altri processi aziendali.

La diversità di opinioni, anche discordanti, amplia il quadro di analisi, e ciò è una premessa al lavoro in gruppo, che cerca di convergere verso decisioni condivise.

Sul piano legislativo, due momenti hanno accelerato la partecipazione: il decreto legge del 24 aprile 2017, che prevedeva una decontribuzione parziale per le imprese che sperimentavano meccanismi partecipativi, e la legge del 2025, che apre alla partecipazione “istituzionale o gestionale”, seguendo modelli europei di co-gestione, ma conferma l’utilità della partecipazione economica, finanziaria e organizzativa.

È interessante passare da una gestione aziendale basata sull’autorità e sulla leadership forte a un approccio che, oltre all’aspetto gerarchico-funzionale — che rimane per definire obiettivi, assegnarli e controllarli — preveda anche il coinvolgimento delle persone. Questo contribuisce a migliorare il clima aziendale e, presumibilmente, anche performance e produttività.

Accanto alla normativa, ci sono valori come ESG e Corporate Social Responsibility, che rafforzano collaborazione, coinvolgimento e responsabilità sociale d’impresa. Collegare partecipazione e responsabilità sociale è importante: un management che costruisce un clima sereno e collaborativo può orientare selezione e valorizzazione delle persone su criteri equi, inclusivi, diversi una gestione basata su simpatie personali. In questo contesto il ruolo delle parti sociali rappresenta una potenzialità di indirizzo e di suggerimento: Confindustria, CGIL, CISL e UIL dovrebbero essere alfieri della partecipazione nelle imprese”.

Con ISMO avete organizzato e seguito la gestione di gruppi partecipativi: come funzionano?

“Negli ultimi 6–7 anni abbiamo gestito circa un centinaio di gruppi di lavoro, generalmente composti da 6 a 12 persone, interfunzionali e con metà dei membri nominati dalla direzione aziendale e metà dalle organizzazioni sindacali.

Il percorso tipico prevede:

  •   Day One: una giornata di formazione iniziale, da tre fino a otto ore, con il supporto di un trainer ISMO e di un assistente ISMO che aiuta a definire il piano di lavoro.
  •   Incontri successivi: cinque, sei, otto o dieci sessioni, la durata e la frequenza dipendono dall’azienda e dal budget.
  •   Day Two: mezza giornata di presentazione dei risultati, con scambio tra i gruppi e discussione delle proposte, anche con la Direzione aziendale.

Le aziende possono ripetere l’esperienza più volte, ma si consiglia sempre di partire con un progetto pilota e di costituire un Comitato Guida, composto da rappresentanti sindacali e datoriali, per monitorare l’esperienza e affrontare eventuali criticità.

Il nostro ruolo, il “terzo metodologico”, è fondamentale: non entriamo nel merito tecnico, ma forniamo strumenti, formazione e metodo per far emergere le idee di tutti. Questo è cruciale perché i gruppi spesso contengono persone con stili comunicativi diversi: chi è più timido deve poter intervenire, chi è più loquace non deve monopolizzare la discussione”.

Quali sono i benefici concreti della partecipazione?

“La partecipazione genera valore tangibile: per i gruppi che abbiamo seguito gli obiettivi toccavano tematiche relative  all’aumento della produttività, riduzione dei near miss, costi della non qualità, miglioramento della gestione delle scorte e della logistica, aumento della collaborazione e del sostegno reciproco e, ovviamente, miglioramento della comunicazione, del clima aziendale e degli spazi comuni.

 

Chi lavora direttamente sui processi conosce vincoli e criticità; il suo coinvolgimento nei gruppi permette di trovare soluzioni più efficaci rispetto a ipotesi esterne. Le idee non hanno gerarchia: contano la qualità e la concretezza dei suggerimenti.

Anche il coinvolgimento attivo nelle decisioni, attraverso co-gestione, partecipazione economica o finanziaria, rende i lavoratori protagonisti della vita dell’impresa, andando oltre il ruolo operativo e favorendo inclusione e equità. Il vero cuore della partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa resta però la loro presenza attiva in comitati e gruppi di lavoro”.

Quali sono le sfide e le prospettive future per la partecipazione in Italia?

“I progetti partecipativi in Italia sono ancora pochi. Spesso le grandi aziende coinvolgono poche decine di persone su migliaia di dipendenti, e la partecipazione rischia di restare burocratica: avere un gruppo di lavoro senza ascolto reale non ha senso.

Siamo ancora ai primi passi: la soluzione passa da esperienze pilota, comitati di guida condivisi e un ruolo attivo del terzo metodologico.

In prospettiva, è importante ampliare il numero di imprese e enti pubblici che adottano meccanismi partecipativi. La partecipazione non è solo legge o contratto: è un processo motivazionale e psicosociale, basato su ascolto, dialogo, empatia e capacità di collaborare. La dimensione umana resta il vero cuore dell’esperienza partecipativa: serve la capacità delle persone di collaborare, ascoltare e mettersi nei panni degli altri”.

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