Regolamentazione della gig economy

Chi ci lavora e quali sono le tutele? Un compendio della normativa UE e della loro declinazione in Italia.

gig economy

La gig economy – cioè “lavoro a chiamata” – è un fenomeno in rapida crescita, che sfrutta le potenzialità delle piattaforme digitali per mettere in contatto domanda e offerta di lavoro retribuito. Si tratta di prestazioni occasionali, temporanee o da freelance, che spaziano dalla consegna di cibo a domicilio alla traduzione online, dalla redazione di testi alla guida di taxi. Se, da una parte, la gig economy consente di scegliere quando, dove e come lavorare, dall’altra spesso questa modalità comporta una certa mancanza di stabilità sia lavorativa sia economica. Chi sono i lavoratori e le lavoratrici della gig economy?

Secondo le stime della Commissione europea, nel 2022 oltre 28 milioni di persone hanno lavorato mediante una o più piattaforme digitali nell’UE, e si prevede che questa cifra raggiunga i 43 milioni entro il 2025. Si tratta di una popolazione eterogenea, che comprende lavoratori sia subordinati sia autonomi, e lavoratori qualificati e non qualificati. La maggior parte dei lavoratori della gig economy è giovane, con un’età media di 35 anni, e ha un livello di istruzione medio-alto. Accanto a questi, esistono però anche categorie di lavoratori più vulnerabili, come i migranti, i disoccupati, i pensionati e i lavoratori a basso reddito, che ricorrono alla gig economy per integrare o sostituire le loro entrate.

La gig economy offre diversi vantaggi, come la possibilità di scegliere quando, dove e come lavorare, la maggiore flessibilità e autonomia o la diversificazione delle fonti di reddito. Tuttavia, la gig economy si accompagna spesso a precarietà, incertezza e a una più generale mancanza di tutele e diritti. A questo si aggiungono la dipendenza dalle piattaforme e dai loro algoritmi, la concorrenza e la frammentazione del mercato del lavoro e la difficoltà di rappresentanza e di contrattazione collettiva. Quali sono le tutele nella gig economy?

La gig economy, e più in generale il lavoro svolto tramite piattaforme digitali, sfida le categorie tradizionali del diritto del lavoro e le distinzioni tra lavoro subordinato e autonomo, tra lavoro dipendente e indipendente, tra lavoro occasionale e abituale. Inoltre, il lavoro mediante piattaforme digitali ha una dimensione transnazionale, in quanto le piattaforme possono operare in diversi Paesi, sfruttando le differenze normative e fiscali tra gli Stati membri dell’UE.

A livello europeo, per lungo tempo non è esistita una normativa specifica e armonizzata sul lavoro mediante piattaforme digitali, ma solo alcune direttive e raccomandazioni che si occupano di aspetti parziali e correlati, come il lavoro atipico, il lavoro autonomo, il lavoro transfrontaliero, la protezione dei dati, l’intelligenza artificiale, il dialogo sociale. Nel febbraio 2021, però, la Commissione europea ha avviato una consultazione delle parti sociali per valutare la necessità e le possibili modalità di un’iniziativa legislativa a livello europeo per migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori delle piattaforme digitali.

Il 13 dicembre 2023 il Consiglio e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo provvisorio sulla proposta direttiva: le nuove norme affrontano casi di errata classificazione dei lavoratori delle piattaforme e agevolano le modalità con cui possono essere riclassificati come lavoratori subordinati, garantendo loro un più facile accesso ai diritti loro spettanti in qualità di lavoratori subordinati ai sensi del diritto dell’UE. Infatti, dei 26,3 milioni di lavoratori classificati come autonomi, circa 5 milioni (quasi il 20%) sono classificati in maniera errata: queste persone, di conseguenza, non possono al momento beneficiare degli stessi diritti e delle stesse tutele dei lavoratori dipendenti (che rappresentano i restanti 2 milioni).

L’accordo contiene anche disposizioni che miglioreranno la protezione dei dati personali dei lavoratori delle piattaforme e accresceranno la trasparenza in merito alle modalità di utilizzo dei sistemi algoritmici per adottare decisioni sul posto di lavoro.

In Italia, il lavoro mediante piattaforme digitali è stato oggetto di interventi normativi, giurisprudenziali e contrattuali, che hanno cercato di bilanciare le esigenze di flessibilità e innovazione con quelle di tutela e sicurezza dei lavoratori.

Il primo intervento normativo è stato il decreto-legge n. 101/2019, poi convertito nella legge n. 128/2019, che ha introdotto alcune disposizioni a tutela dei lavoratori della gig economy, in particolare dei rider. Il decreto ha stabilito che i rider sono lavoratori autonomi, salvo prova contraria, e ha previsto per loro il diritto a una retribuzione adeguata, proporzionale alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, non inferiore a quella stabilita dai contratti collettivi nazionali di categoria; il diritto alla sicurezza e alla salute sul lavoro, con l’obbligo per le piattaforme di fornire loro i dispositivi di protezione individuale e di assicurarli contro gli infortuni e le malattie professionali; il diritto alla libertà di associazione e di contrattazione collettiva, con la possibilità di aderire a sindacati e di stipulare accordi collettivi con le piattaforme; il diritto all’accesso alla formazione professionale, con la possibilità di beneficiare dei fondi interprofessionali e dei voucher formativi; il diritto alla trasparenza e alla non discriminazione, con il divieto per le piattaforme di adottare decisioni unilaterali e discriminatorie nei confronti dei rider, basate su algoritmi o sistemi automatizzati.

Dopo un intervento del 2020 (decreto Rilancio) a favore dei lavoratori colpiti dalla crisi economica causata dalla pandemia da Covid-19, nel 2021 un nuovo decreto (Sostegni bis) ha previsto il riconoscimento di un’ulteriore indennità di 800 euro per il mese di maggio a diversi lavoratori e lavoratrici.

A livello contrattuale, si sono registrati alcuni accordi collettivi tra le organizzazioni sindacali e le piattaforme digitali, che hanno cercato di migliorare le condizioni di lavoro dei rider, introducendo clausole relative alla retribuzione, alla sicurezza, alla formazione, alla trasparenza, alla rappresentanza e alla contrattazione collettiva. A settembre 2020 c’è stato l’accordo tra UGL e Glovo, a novembre quello tra UGL e Just Eat, a dicembre quello tra CGIL, CISL, UIL e Assodelivery e tra UGL e Deliveroo. Nonostante questo, però, diverse organizzazioni sindacali e molti rider hanno criticato gli accordi, ritenendoli insufficienti e discriminatori, in quanto non hanno riconosciuto la natura subordinata del rapporto di lavoro e non hanno garantito le stesse tutele previste per i lavoratori dipendenti.

Per il tema della Gig Economy abbiamo chiesto all’avvocato Pietro Speziale di darci un commento:

“Definire chi lavora nella GIG economy sarebbe un esercizio complesso, peraltro già svolto in parte dagli organi Comunitari che si sono occupati di questa materia, e non del tutto utile nella misura in cui a distanza di molti anni dall’inizio di questi fenomeni, la platea dei soggetti che vi opera e vasta ed eterogenea al punto di diventare una parte non irrilevante del mercato.”  

Spiega Speziale: “Ciò che è invece evidente è la costante espansione di questa tipologia di lavori ed il suo potenziale di sviluppo nei prossimi anni anche avendo a mente il costante sviluppo delle tecnologie. Molto differente e forse di maggiore interesse è il tema del sistema di tutele giuslavoristiche di un mondo che – sino ad alcuni anni orsono – rappresentava una nicchia nel mercato il più delle volte legata allo svolgimento di attività saltuarie ed integrative rispetto all’attività principale del soggetto. 

Da questo punto di vista il crescente spazio occupato da queste modalità di rendere la prestazione ha comportato il sorgere di una crescente attenzione da parte del legislatore nazionale e Comunitario. 

Senza entrare nello specifico delle norme di fonte comunitaria in corso di approvazione, ciò che risulta evidente è una particolare attenzione nella ricerca di strumenti attraverso cui procedere alla individuazione del “tipo” negoziale.“ 

Andando più nel dettaglio, l’avvocato Speziale chiarisce:“In particolare, nella proposta di Direttiva comunitaria si è proceduto all’individuazione di una serie di criteri definitori al cui ricorrere nel numero di almeno 3 su 6 il lavoratore su piattaforma si presumerà rientrante nell’alveo della subordinazione con le relative tutele. 

Fermo restando l’argomento relativo alle tutele, il tema su cui sarebbe il caso di concentrare l’attenzione non è quello di far rientrare il lavoro su piattaforma nella classica dicotomia fra lavoro autonomo e lavoro subordinato, ma di immaginare una disciplina ad hoc per questa categoria di lavoratori la cui modalità di adempimento della prestazione lavorativa è del tutto peculiare. Peraltro, occorre rilevare che l’affermazione da cui muove la proposta di direttiva comunitaria per la quale la predisposizione di un sistema di presunzioni – a maggior ragione se relative – garantirebbe una certezza del diritto e una riduzione del contenzioso non convince fino in fondo alla luce delle precedenti esperienze in cui si è adottata analoga tecnica legislativa. 

Più interessante, nel panorama legislativo sia interno che comunitario, è l’aspetto delle tutele legate alla tutela del lavoratore rispetto all’utilizzo di sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati nella misura in cui si getta una luce su un tema che non rimarrà nel prossimo futuro circoscritto al mondo del lavoro su piattaforma ma si estenderà, verosimilmente, a vaste aree del mercato del lavoro.” 

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