Scienza e arte insieme, le competenze del futuro sono ibride

Il modello della divisione a silos dei saperi non è più adeguato alla complessità dei tempi, l’ibridazione delle competenze può essere una risposta. Ne abbiamo parlato con Flaviano Celaschi, docente di disegno industriale e innovazione all’Unibo e coordinatore del Clust-ER CREATE.

flaviano celaschi

Flaviano Celaschi è professore ordinario di disegno industriale e innovazione all’Università di Bologna e presidente del Clust-ER Industrie Culturali e Creative della Regione Emilia-Romagna. I Clust-ER sono associazioni tematiche che mettono in contatto imprese, ricerca e alta formazione e sono coordinati da ART-ER. Dal Clust-ER Create è nata Scienza Ibrida, un’iniziativa dedicata alla contaminazione tra scienza, arte e discipline umanistiche.

Professor Celaschi, perché arte e scienza devono ibridarsi?

Perché non sono mai state separate. Cinque secoli fa, inseguendo una logica cartesiana, abbiamo rifondato il sapere in occidente e lo abbiamo ripartito in silos per poter formare specialisti più profondi. Per la complessità del tempo ha funzionato, per la complessità di oggi non funziona più. Progressivamente l’arte è stata confinata nelle accademie e la scienza negli istituti. Tutto l’apparato di formazione, dalle scuole superiori, è stato separato in materie, carriere, professioni… Per attenuare il problema che si generava dividendo i saperi, sono stati inventati profili che prima non esistevano: l’ingegnere che doveva mediare tra scienza e impresa, l’intellettuale che doveva mediare tra scienza e cittadino, l’economista che doveva mediare tra impresa e cittadino. Questo modello non è più adeguato.

Che tipo di competenze chiede il mercato del lavoro?

Son 15 anni che, dopo la crisi del 2007, non rinnoviamo i saperi nelle nostre organizzazioni. Abbiamo progressivamente pensionato e non riassunto, abbiamo ridotto drasticamente il ricorso ai parasubordinati in entrata per risparmiare, abbiamo evitato qualunque riforma strutturale del sapere e della formazione. Una grande apnea. Quindi nel mercato del lavoro abbiamo bisogno di tutto. Detto questo necessitiamo di profili che, come si dice ad Harvard, siano fatti a T, ossia che abbiano una specializzazione adeguata ma soprattutto e insieme una capacità di muoversi in integrazione agli altri saperi. Lo conferma il Pnrr, che cerca profili per la Pubblica Amministrazione che siano l’incrocio tra tre abilità: una verticale (giurisprudenza, medicina, ecc.), una manageriale e una legata alle ICT e alle nuove tecnologie abilitanti.

Chi è il talento del futuro?

Una persona di ottima volontà, fortemente motivata, capace di interagire con gli altri, ma ritengo sopravvalutata la parola talento: non abbiamo bisogno di poche figure geniali ma di riportare in alto la media e questo movimento darà la spinta ad alcuni per galleggiare sulla cresta di questa onda e fare del bene. Ma non sono questi pochi geni isolati a trascinare, semmai è la comunità tutta che evolvendosi e crescendo in formazione, competenza, sicurezza, sapere, porta in vetta i migliori apprezzandoli e mettendoli in condizioni di agire al meglio. Oggi avviene il contrario: tra i mediocri e i dotati c’è una guerra, una sfida. Conti più tu che sei un genio isolato oppure noi che siamo tanti e ignoranti?

Lei insegna all’università, il mondo della formazione è adatto a creare competenze ibride?

Assolutamente no. L’università ha la forma che la società le affida. Non è un problema italiano, ma globale, sicuramente occidentale. Nell’università italiana poi, nei prossimi 7 anni andrà in pensione l’ondata dei baby boomers (oggi ultrasessantenni). Non avremo persone con le quali rimpiazzarli perché per 20 anni si è disinvestito in ricerca e formazione universitaria. Quindi non solo non sarà facile riformare il processo, ma sarà addirittura improbabile mantenere lo stesso standard di oggi. Non penso che questo movimento possa partire dall’Università italiana, non ne ha la forza, perché la società non le riconosce più la leadership trascinante. Tra investimenti statali (che i cittadini non vedono) e investimenti delle famiglie una laurea 3 + 2 fuori sede costa circa 150 mila euro. A cui si sommano circa 150 mila euro di mancati redditi di chi sta studiando. Significa che ogni laureato verserà per ogni mese della sua vita lavorativa di 40 anni circa 650 euro di mutuo per pagarsela (in tasse o rate). E se nel mondo del lavoro italiano un laureato vale circa 2 mila euro netti mensili non vedo come i numeri di oggi possano migliorare. Mondo del lavoro e mondo della formazione sono un mondo unico per destino e crescita.

Ci può parlare del Clust-ER che presiede, che associa industrie culturali e creative? Che ruolo ha?

L’idea originaria che stiamo pervicacemente inseguendo è che possa esistere un luogo dove imprese, enti di ricerca, fondazioni, associazioni, enti pubblici, possano lavorare insieme per sviluppare benessere e qualità investendo in innovazione. Il modello è molto sfidante ma molto interessante, vale la pena di insistere. I problemi delle imprese non sono disancorati da quelli di tutti gli altri attori che ho citato, e la sfida è trovare linguaggi comuni e capirsi sugli obiettivi. La Regione Emilia-Romagna è stata lungimirante a creare questo processo. Noi ci occupiamo di un insieme molto articolato e poco cosciente di essere un insieme unico: le industrie culturali e creative che per produrre valore usano creatività e cultura in modo prioritario come fattore produttivo strategico.

Che esperienze avete avuto in tema di lavoro, formazione, richieste dalle imprese…

Siamo nati 3 anni fa e da allora stiamo imparando a far lavorare insieme enti diversi che parlano lingue diverse: un enorme obiettivo nel senso di scienza ibrida. Sono poi nati diversi progetti di ricerca competitiva (significa che hanno superato un bando ma anche che i soggetti finanziati hanno investito una parte consistente di risorse a loro volta nel progetto). Abbiamo poi parlato e agito molto in favore delle tecnologie abilitanti e comunque la pandemia ha bloccato il settore per due anni (ICC- 38% di PIL in Italia nel 2020-21). Quindi gli associati sono stati purtroppo molto distratti dalla sopravvivenza a breve termine in questo periodo. Abbiamo strutturato un osservatorio formazione e censito l’insieme dell’offerta formativa ICC oriented in Emilia-Romagna e sono emersi dati incredibili: senza ombra di dubbio questo territorio è la capitale europea della formazione alle professioni utili alle industrie culturali e creative.

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