Silenzio organizzativo: perché i dipendenti non parlano?

Che cos’è l’“organizational silence” e come può essere fronteggiato dal leader? Con “silenzio organizzativo” si intende un fenomeno collettivo per cui i dipendenti non parlano, non esprimono suggerimenti, preoccupazioni o informazioni su un problema. Come fronteggiare questa patologia organizzativa, enfatizzata oggi dalla tendenza al quiet quitting? In quale misura può incidere sulla trasformazione aziendale?

silenzio

I dipendenti giocano un ruolo fondamentale per il successo della propria azienda e i loro comportamenti, è cosa nota, impattano notevolmente sul destino dell’organizzazione stessa e sui processi aziendali. Per questo motivo i casi di “silenzio organizzativo”, ovvero quando i lavoratori preferiscono non esprimere la propria opinione o non condividere importanti informazioni – spesso in merito a potenziali problemi organizzativi – con gli altri membri dell’organizzazione, non vanno sottovalutati né ignorati, anche perché, in molti casi, potrebbero sottendere una certa insoddisfazione dei dipendenti verso l’azienda, un disengagement che potrebbe poi portare addirittura alle dimissioni o, fenomeno forse ancor più pericoloso, al quiet quitting. Non solo. Anche il benessere stesso dei dipendenti può essere messo a repentaglio dal silenzio organizzativo, favorendo un aumento dei livelli di stress fino a portare al burnout.

Insoddisfazione? Non sempre.

Se il più delle volte l’employee silence può celare “solo” una mancata lamentela nei confronti del datore di lavoro, si verificano anche casi in cui il dipendente omette importanti input per il miglioramento dei processi aziendali – concernenti per esempio le modalità di svolgimento del proprio lavoro – creando, quindi, un mancato vantaggio per l’organizzazione, sia in termini di non evoluzione sia per l’impossibilità di mettere a frutto le conoscenze del proprio capitale umano e sfruttarne pienamente le performance.

Il fenomeno è talmente di vasta portata, che è stata fatta addirittura una classificazione delle diverse tipologie di silenzio organizzativo a seconda delle motivazioni che sono alla base della decisione di non parlare.

Abbiamo così

  • il silenzio “remissivo” (acquiescent silence) che nasce dalla rassegnazione, ossia dal dipendente che non si sente in grado di fare la differenza nella propria organizzazione, con la convinzione di non essere capace di apportare contributi significativi al processo di decision making;
  • il silenzio “difensivo” (defensive silence) scaturisce, invece, dalla paura e dalla preoccupazione per i rischi che il fornire determinate informazioni potrebbe causare alla propria persona;
  • il silenzio “prosociale” (prosocial silence), l’unico ad avere una declinazione positiva, in quanto idee e opinioni relative a questioni del proprio lavoro non vengono divulgate per proteggere, per esempio, la confidenzialità delle informazioni stesse: in questo caso il silenzio potrebbe fare addirittura parte della strategia aziendale ed essere quindi concordato con manager e datore di lavoro. Ma anche un certo conformismo di facciata, ovvero la volontà di uniformarsi ai colleghi, potrebbe portare il dipendente ad autocensurarsi e a non esprimere la propria opinione se considerata dissonante dai valori aziendali.

Le cause

Se il fattore “predisposizione caratteriale” del singolo dipendente può giocare un ruolo di primo piano nel silenzio organizzativo, sicuramente anche lo stile di leadership del datore di lavoro – se troppo autoritario e rigido, per esempio – e il rapporto che quest’ultimo riesce o non riesce a instaurare con i collaboratori è rilevante: il capo che non riesce a trasmettere sicurezza psicologica e identificazione con l’organizzazione e, al contrario, scoraggia i feedback negativi favorirà sicuramente situazioni di silenzio in azienda.
Inoltre, non vanno sottovalutati neppure l’ambiente di lavoro e il clima che si respira tra colleghi: casi di emarginazione o di mobbing, per fare gli esempi più banali, potrebbero portare all’employee silence.
Infine, anche le situazioni lavorative eccessivamente automatizzate, dove le relazioni umane sono sostituite dalla tecnologia ed è difficile individuare i referenti “fisici” possono provocare casi di silenzio organizzativo.

Le soluzioni?

È difficile tamponare un fenomeno così variegato e multiforme; certamente è tuttavia necessario per l’organizzazione cercare di controbilanciare i fattori che intimoriscono i dipendenti attraverso appropriati stili di leadership, un clima organizzativo positivo e ambienti di lavoro collaborativi, analizzando poi gli strumenti e i canali a disposizione dei dipendenti per capire come questi incidano sulla scelta di rimanere in silenzio: prevedere magari anche strumenti anonimi per potersi esprimere liberamente o segnalare comportamenti non etici di colleghi e superiori senza temere le possibili conseguenze, potrebbe essere una delle soluzioni.

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