Coaching, supporto e dialogo: nuovi criteri di valutazione del personale

Intervista a Paolo Iacci (Eca-Aidp), esperto di gestione delle risorse umane: i modelli cambiano perchè il mercato è in profonda trasformazione. In alcuni settori le soft skills sono determinanti, ma non esiste un sistema valido per ogni tipologia di business

valutazione del personale quali criteri

I sistemi di valutazione del personale cambiano perché si adattano a un contesto in rapido cambiamento: sono sempre meno fondati sul giudizio, sulla valutazione tradizionalmente intesa, e acquistano sempre più valore modelli supportivi, di coaching. Le competenze soft, in determinati contesti, contano quanto le hard.

«I modelli stanno cambiando rapidamente, adeguandosi a un mercato in profonda trasformazione, ma non c’è un sistema di valore universale. Il modello migliore è quello che io chiamo adhocratico, cioè creato ad hoc per la specifica realtà».

A parlare è Paolo Iacci, presidente di ECA Italia e di Aidp Promotion e docente di Gestione Risorse Umane alla Statale di Milano.


Dal suo osservatorio, come stanno cambiano i modelli di valutazione del personale?

«Il performance management è nato 40 anni fa: allora esistevano strutture gerarchiche, organizzazioni piramidali, programmazioni a medio lungo termine… Oggi siamo in un mondo completamente diverso: meno gerarchia, le strutture piramidali non funzionano, è difficile fare programmazioni rigide degli obiettivi anche a un anno. Il performance management e tutti gli strumenti hr devono adattarsi al contesto perché non è più possibile ragionare con modelli rigidi in un mercato che cambia rapidamente e con una innovazione tecnologica travolgente».

Quindi?

«Quindi si fa riferimento a schemi nuovi che superano modelli come quello della “distribuzione forzata” dei risultati, alla flessibilità dei rating e all’importanza di elementi quali il coinvolgimento rispetto a criteri puramente valutativi, che non scompaiono ma hanno meno importanza che nel passato. Con una battuta possiamo dire che è sempre più importante l’engagement».

Calando nel concreto della gestione delle risorse umane questa nuova impostazione…

«Non esistono più le fasi di valutazioni annuali o di metà anno. Le tecnologie rendono possibile una valutazione costante, i feedback sono immediati. Il dialogo tende sempre più a infittirsi, l’atteggiamento passa da giudicante a supportivo, creando due effetti positivi immediati: ritenzione e sviluppo delle competenze e unità dei team di lavoro, elemento sempre più importante nel mercato attuale. Questo è fare del coaching, non dare pagelle basandosi su criteri che hanno sempre meno radicamento nella realtà del mercato del lavoro attuale».

Quanto sono realmente applicati in Italia questi nuovi modelli di valutazione?

«La filosofia parte dalle multinazionali Usa e dalle grandi corporation, ma sta iniziando a prendere piede anche in Italia. C’è una situazione a macchia di leopardo, che ha un suo senso. Ci sono comparti in cui il modello tradizionale è ancora perfettamente rispondente alle esigenze del mercato. Quelle imprese non hanno necessità di trasformarsi in platform company».

C’è un modello migliore?

«Il performance management e gli strumenti hr si devono adeguare alle necessità del business e delle persone. Ci sono business in cui un approccio tradizionale ha maggiore senso. Per quanto riguarda le  persone non si possono non tenere in considerazione elementi nuovi – come l’atteggiamento, l’engagement, la partecipazione… – perché non sono prerogativa di determinati business, ma sono di tutti. Dico che il modello migliore è quello adhocratico, creato ad hoc in base alle esigenze di quel determinato business».

In questo quadro, come cambia anche il lavoro di selezione del personale?

«Quella del recruiter è la figura che sta cambiando maggiormente: l’algoritmo incide in maniera pesante, si stanno ridefinendo  strumentazione e processi di selezione…».

Ma conta più l’engagement o il voto di laurea?

«Dipende. Ci sono settori in cui le competenze soft contano meno di quelle hard: un perito deve saper fare il lavoro per cui è stato scelto. In altri ambiti le valutazioni si stanno riequilibrando, con una sempre maggiore attenzione alle soft skills».

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